Francesco Gabellini è nato nel 1962 a Riccione. Ha pubblicato cinque raccolte di poesie in dialetto romagnolo: “Aqua de silénzie” (Acqua del silenzio, 1997) per l’Editore AIEP; “Da un scur a cl’èlt” (Da un buio all’altro, 2000); per le Edizioni La vita felice; “Sluntanès” Pazzini Editore, 2003; “Caléndre” Raffaelli editore 2008; “A la mnuda” Giuliano Ladolfi Editore 2011. Le sue opere sono risultate vincitrici o finaliste in numerosi concorsi letterari nazionali e sono state pubblicate su varie riviste culturali. Con il monologo in dialetto romagnolo “L’ultimo sarto” è stato finalista nel 2005 alla 48ª edizione del Premio Riccione per il teatro. Nel 2009 riceve il Premio Franco Enriquez per la drammaturgia. Negli anni 2010 e 2011 il monologo “Detector” viene portato in scena dall’attore Ivano Marescotti in vari teatri d’Italia, tra cui il Teatro dei Filodrammatici di Milano. Nel 2015 si classifica al secondo posto al Concorso Nazionale di Poesia Guido Gozzano. Nel 2016 pubblica un libro che raccoglie cinque monologhi per il teatro, sempre in dialetto romagnolo, dal titolo “Zimmer frei”, Il Vicolo Editore. Sempre durante il 2016 è risultato vincitore del Premio Galbiate di Poesia e secondo classificato al Premio Renato Giorgi di Sasso Marconi. Nel 2017 con il monologo “Iper” vince il Premio Franco Enriquez per la drammaturgia. Francesco Gabellini
Inediti
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Capodanno
Si sente una solitudine nuova in assenza della madre,
una solitudine universale.
Chiedete alla volpe artica quanto è vasto l’inverno
o a certi uccelli che da soli attraversano il mare;
di un pensiero che non ti può più pensare.
Chi si chiama ancora figlio ha solide paratie,
argini che nemmeno lui conosce; può solo immaginare.
Per la capacità che hai di ricordarla
pensi sia stata lei a lasciarci,
ma c’è nebbia che incarta le case
confonde chi resta e chi parte.
C’è un bambino pettinato con la tua saliva
indossa lembi di placenta e sangue,
vivo ancora e splendente;
la sua mano stringe un angolo della tua sottana.
Sembra impossibile sopravviverti, madre.
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Giochi d’acqua
Dove sarà quel gioco di semi piantati in un ventre
e le corse dei girini, dove sono?
Adesso che il freddo ti ha rapita
altre creature, insetti silenziosi e invisibili si nutrono di te.
E non giocano loro, lavorano il giorno
e anche di notte.
Rimane un osso bianco sulla terra nera.
Tra quanti anni la stessa acqua che corre
passerà ancora a consumare il sasso del fiume?
Di altri giochi, di altri semi è fatto adesso il giorno
e nuove corse e infinite di girini.
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L’ultimo desiderio
Come se fossi morto o se
mi avessero rapito, invece
scrivo ( la mano insegue quello che resta del pensiero)
nell’ombra debole di un seminterrato
per chi non sa ancora leggere, perché
(non per solo analfabetismo di ritorno)
ma semplicemente ancora non è nato.
Per lui scrivo, per chi mi leggerà
una volta che sarò caduto
nella stessa ombra debole del seminterrato
come se lui stesso fosse morto
o, ultimo lettore, l’avessero rapito
e lui tacesse, ma
mi portasse a memoria nel pensiero.
Fotografia di proprietà dell’autore.