Il primo libro di cui voglio parlare oggi è “L’ottavo giorno” (Oedipus 2021) del prolifico Gianni Ruscio. Il testo è introdotto da una bella prefazione a cura di Sonia Caporossi a cui si rimanda per la precisa e incisiva lettura del lavoro. Ruscio, di cui ricordiamo bene sia Proliferazioni (Eretica 17), sia Interioranna (Algra 17), continua il suo lavoro di maturazione stilistica fornendo un’ottima prova di scrittura. Il centro su cui si bilancia lo sviluppo poetico è il movimento di un Io che contempla allo stesso tempo un sé, un altro da sé e un Noi. Partendo quasi sempre da fatti autobiografici riesce a scindere l’autoreferenzialità, in un complesso di fecondi ragionamenti che alzano notevolmente l’asticella media. Come diceva Ortesta, tutti i poeti raccontano biografie ma c’è modo e modo di proporsi e sviluppare le idee e qui Ruscio c’è riuscito in pieno.
I casolari in rovina
dentro la tua testa scivolata
sotto al cuscino. La tua risata acuta.
Si sgretola ogni sedimento.
I tuoi occhi inferociti,
carogne bramano, del mondo.
Fessure e fratture socchiudono
il tuo altro, e gli sguardi
che restringi e si contraggono
ci dilatano: siamo gli esseri
fragili del mondo,
i tagli delle vocali,
i graffi cavernosi senza passato
Un altro libro molto bello e di cui consiglio la lettura è “LEI SIETE VOI” (Lietocolle 19) di Lorenzo Fava. Fava è una persona timida e riservata, rivolto alla poesia in maniera profonda e sentita. Scevra da manifestazioni egotiche, la sua scrittura è decisamente interessante. Lei siete voi è un testo scritto per la poesia, che parla di poesia. Il dubbio che “Lei” possa incarnarsi anche in una reale musa lo lascio ai lettori, ma sinceramente non è fondamentale saperlo. La sua modalità espressiva è sempre di tensione, creando sospensioni e certezze. Credo che Fava abbia delle potenzialità alte e che ci riserverà sicuramente delle belle sorprese in un prossimo futuro.
Dimentica la domanda, fai del tuo presente
la sola partenza, non sia solo apparenza
lo stato d’equilibrio che s’apre sulle cose.
Non retrocedere, non piegarti. Non hai
né vanto né colpa. Hai solo la premura
di fare bene. L’espressione che si è persa
devi ritrovare, quella perduta sulla sfera
nel cerchio di tempo fuori da ogni possibile
orizzonte contiguo; fai che possano
riconoscere qualcosa d’altro nel tuo canto,
che non abbia a che fare con testo o voce,
come se non facessi altra cosa che dire.
*
I muri hanno perso memoria dei tuoi passi,
sei sfilata alla loro vista senza lasciti.
Ora più robusto è il gesso, e spesso
la porta d’ingresso serrata, la luce
spenta da tempo. Chissà se qualcuno adesso
si incontra nelle nostre stanze.
Quanti amanti noi stessi avremmo
divorato distesi sotto altri cieli?