Eleonora Rimolo – Prossimo e remoto, postf. di Milo de Angelis (Anteprima editoriale, Pequod – Quai de Boompjes, 2022).

Eleonora Rimolo (Salerno, 1991) è Assegnista di Ricerca in Letteratura Italiana presso l’Università di Salerno. In poesia ha pubblicato: La resa dei giorni (Alter Ego, 2015 – Premio Giovani Europa in Versi), Temeraria gioia (Ladolfi, 2017 – Premio Pascoli “L’ora di Barga”, Premio Civetta di Minerva) e La terra originale (Pordenonelegge-Lietocolle, 2018 – Premio Achille Marazza, Premio “I poeti di vent’anni. Premio Pordenonelegge Poesia”, Premio Minturnae). Con Giovanni Ibello ha curato Abitare la parola. Poeti nati negli anni ‘90 (Ladolfi 2019). Dirige la sezione online
della rivista Atelier e le Collane di poesia Letture Meridiane ed Aeclanum per la Delta3 edizioni.

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“La poesia di Eleonora Rimolo è percorsa da una forza dirompente che si chiama Alterazione, scritto con la maiuscola per indicare la potenza arcaica di un archetipo.”
Milo De Angelis

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Poesie da “Prossimo e remoto”
(Pequod, Quai de Boompjes – collana a c. di Valentino Ronchi)
http://www.italicpequod.it/2020/books/prossimo-e-remoto/

 

31 gennaio 1983

Non so parlare altre lingue, neanche
seduta in via modesta valenti 21
dove una babele di terrazze abitate
dall’inverno indica la direzione,
il centro abbandonato del guarire.
Non rispondo e non mi muovo sono
fedele alle regole, innamorata delle pulci
che mi bucano la testa, incerta sulla porta
se a metà di una scala il marmo cede
e le caviglie si aprono, sopra un delirio
di ferite e non si cammina, non si arriva
più all’ombra sognata ma si diventa
gomitoli di ossa, sfere di silenzio.

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Dopo la ferita arriva l’azzeramento
del dolore, la pelle viva viene alla luce
con la sua verità crudissima:
quei mirtilli sono soltanto pietre
e su Marte non c’è biologia ma c’è
sulla terra stasera una paura
che fa più umane le cose, un rigurgito
di tenerezze mai digerite, un consegnare
la copia sbagliata di proposito
per darti di me la parte peggiore,
il mio sacrificio maggiore.

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Questi corpi elementari che volano eterni
dai ponti metallici sono mossi dagli urti
e scarnificati fino alla completa dissoluzione:
forse camminano al nostro fianco, vestono di lana,
si proteggono dall’infezione. Non basta per esserci.
Sempre in qualunque luogo stia qualunque persona
da ogni lato si lascia sempre un tutto infinito:
vorrei toccare Vera con la punta delle dita,
rimettere in piedi Umberto con un abbraccio,
dire a Nilde che il dolore è solo un lampo.
Ogni giorno voltiamo la pagina, con grazia
attraversiamo le epoche, recitiamo la favola
dei mondi antichi in esametri. Questa è
l’ottusa insistenza della storia, il mio breve
messaggio di congedo, la sola parola che conta.