Eleonora Rimolo “La terra originale” (Lietocolle – Pordenonelegge collana gialla, 2018 )
Lettura di Clery Celeste
Con La terra originale (collana gialla Lietocolle- Pordenonelegge, 2018) Eleonora Rimolo dimostra una notevole evoluzione stilistica ed emotiva rispetto al suo ultimo Temeraria gioia (Ladolfi editore, 2017): il verso si fa più esatto e preciso, tagliente e feroce, Eleonora si concede di indagare senza sconti tutte le frane dell’umano. Questa terra di cui parla da naturale, come ci aspetteremmo, diventa originale, si trasforma e assume tutte le possibilità immaginative. L’aggettivo presente nel titolo apre tutte le porte interpretative, ci aspettiamo dopo una gioia, che era temeraria e irrompeva, una terra che resista e sbocci. Non è esattamente così.
Quello che di bucolico poteva esserci e che appare a volte ingannando il lettore all’inizio dei testi viene poi trasposto e riportato a quello che l’uomo invece ne ha fatto di questa terra, dove “la pioggia non si può deglutire”. Rimolo ci propone in questo libro sin dal primo testo una poesia dal carattere fortemente morale ed etico, che chiede un risveglio cognitivo del lettore, è una poesia che digrigna i denti e ci mette in discussione come esseri umani “Cosa riempirebbe allora le coscienze,/ quale commento, quante penose idee.” Dalla scrittura di Eleonora non si può uscirne indenni, qualcosa deve accadere dentro di noi mentre si legge questo libro. Sono testi totalmente privi di incanto, dove il verso è un atto di denuncia. Rimolo riesce in questo grazie alla grande capacità di versificazione, i versi sono esatti e senza orpelli inutili, la sintesi e l’accuratezza di queste poesie sono i punti di forza ottenuti con grande perizia. Nei testi il suono subisce un equilibrio ben calcolato: a ogni suono dolce corrisponde un suono aspro, come a ricordarci che non c’è quiete senza fatica. Eleonora piega la lingua poetica al suo volere, la rabbia si trasforma in esattezza in questi versi che sono lapidari, che sono un memento collettivo ricordandoci ad esempio come “Dopo un solo abbraccio il tarlo insiste”.
La tensione tra onirico, fiabesco e materico è presente in tutti i testi, i versi sono capaci di farci sperare in un paradiso qualunque e poi di riportarci subito dopo al “nostro naturale/ decomporci in schegge di terra.” Eleonora descrive un paesaggio allucinante dove “i tronchi proni da lontano” sono “anime penitenti in paziente attesa”. Non fidatevi del primo verso che incontrate nella poesia, perché se pregate “la terra, questa nostra terra” alla fine percepite come lei “una strana abbondanza/ orizzontale, per questo piego anch’io/ lo sguardo, mi rivedo attraverso/ il vetro sporco, fantasma specchiato”. Il salto emotivo da Temeraria gioia è questo, da una possibilità di gioia che resiste nonostante tutto ora si arriva a una visione senza rimedio e senza redenzione, per cui “Qualcun altro se ne va senza essersi rialzato:/ non si dura molto fuori dai propri ospedali.” Anche la versificazione è cambiata notevolmente, se in Temeraria gioia resisteva un verso più lungo che concedeva una speranza al lettore, una parola in cui cullarsi e indugiare, un suono più dolce da ascoltare, ora l’autrice ha asciugato il verso che risulta una corsa al precipizio, si rimane a fine verso chiedendoci se salteremo e ci redimeremo. Se torneremo indietro per ricostruirci un nuovo e più pulito senso umano e morale, una nuova terra originale.
La seconda sezione del libro “La notte più lunga dell’anno” inizia con un testo che riprende il libro precedente, la parola gioia ritorna ma in forma del tutto trasformata. Ora è diventata “aggressiva diversa la gioia/ la stringi tra i denti, si/ sfila come saliva, prosciuga/ il sangue negli alveoli”. Eleonora non è una poetessa che lascia dubbi, dice le cose come vanno dette senza cura per chi è debole, la verità va confessata. Questa terra è diventata come noi, “l’indifferenza del gallo” è il primo segnale del mattino, dove l’ordine naturale viene sovvertito. Anche gli animali si fanno muti ed egoisti.