Diario amoroso senza date – Fotoromanzo poetico di Antonio Nazzaro e Eleonora Buselli (Edizioni Carpa Koi, 2021)
di Daniele Costantini
Che la raccolta poetica di Antonio Nazzaro ed Eleonora Buselli sia una raccolta atipica è tutto sommato vero, non essendo oggigiorno i “fotoromanzi” facili da trovare in libreria e neanche più nelle edicole, ma affermare che le fotografie presenti all’interno del volume siano messe lì come accompagnamento o contorno al testo significherebbe peccare di superficialità, fare un torto all’idea che stava a priori del libro e ancor più alla qualità delle fotografie stesse, che sono, per la maggior parte, d’indubbia bellezza: semplici e spontanee. Esse sono, anzi, lo specchio più autentico del sentimento e del rapporto amoroso che la raccolta tenta di rappresentare, la parte meno retorica del diario. Non sono semplicemente sfondo, scenografia o cornice, sono entità vive che si muovono e si evolvono tra le pagine con il lettore, seguendone l’andatura e accompagnandone la lettura.
Questo tipo di costruzione risulta essere efficace; è bella l’idea di struttura che vi è alla base, quella cioè di un ordine sparso di cose: attimi, immagini, giorni.
Sono scene, sia quelle scritte che quelle immortalate, di vita quotidiana con le quali è facile entrare in empatia e che “tirano dentro” il lettore, immediatamente ma con delicatezza.
Se si accetta il patto, e il viaggio in un’intimità messa a nudo, si finisce in una concezione primigenia dell’amore, innocente e assoluta. Poesie piene di carezze e baci e attese testimoniano l’infantilità dolce di un inizio, grazie anche a quella “tenerezza” spesso direttamente nominata che sarebbe stato meglio forse intuire piuttosto che sapere, ma così è: è un amore che parla in modo diretto senza celare nulla, senza far immaginare niente di più di quel che viene detto.
veglio il tuo sonno che mi fa insonne
a vagare per queste stanze
si fanno piazze da cui non s’esce
perché infinite come questi minuti
accordare il respiro alla notte perché
possa cullare il cuore stanco
non trova pace e vaga in mutande
nell’attesa dell’aprirsi degli occhi tuoi
a dare riposo
Sono poesie semplici, senza apparenti menzogne. Il linguaggio è piano, anch’esso quotidiano e privo di increspature. Sta al lettore stabilire se questo è un bene o un male. Su stile e forma poi –assenti le rime e semplificate all’osso le figure retoriche – basta forse dire, per rendere l’idea, che diversi componimenti richiamano formule, visioni e costruzioni di un certo tipo di poesia contemporanea, non la più impegnativa ma certamente la più circolante, e venduta. Starà al lettore, ancora una volta, e se ne sente il bisogno, stabilire se ciò è bene o male.
I fili conduttori di questo amore sono la natura, intesa come scenari ed elementi naturali (l’acqua, il vento), e l’eros. Si rintracciano infatti echi di poesie paesaggistiche che tengono assieme emozioni e percezioni sensoriali. La natura la si vede direttamente e la si percepisce anche quando si nasconde: il rapporto tra gli amanti ne è pervaso, ne adotta le forme sul piano simbolico e su quello metaforico: “toglierti il vestito della notte / coprirti lentamente di radici”, recita un incipit dedicato al secondo grande elemento, la congiunzione fisica. Il desiderio carnale abita silenzioso ogni scambio tra i due “Io” poetici, e a volte improvvisamente divampa, in una poesia o in una breve serie di componimenti concatenati, toccando l’apice per poi chetarsi.
E così si procede dall’inizio alla fine, con gli amanti che si muovono tra sfumature varie di mancanza e desiderio, partendo come ingenui bambini, diventando esseri istintivi arsi dal desiderio, e tornando infine ad essere alberi, e luoghi, e piccoli gesti innocenti.
È interessante notare come la voce poetica non sia unica: due voci popolano e costruiscono la raccolta, e due volti. E questo è il punto di forza del fotoromanzo: la “comunione”, cioè, nella narrazione dell’amore (“vedo le poesie farsi più nostre”) che assume completezza solo se c’è un’assenza di mezzo, chiaramente percepibile, benefica, ma da colmare in qualche modo. Ed ecco allora che i versi divengono, prima che poesie, messaggi d’amore tra amanti lontani o distanti, chissà in quali forme, che avvertono forte la mancanza e insieme la presenza reciproca: “manchi così tanto / da esserci sempre”.
L’ambivalenza tra l’esserci e il non esserci sorregge l’intera impalcatura, risolvendosi in una presenza costante e invincibile. Ogni pezzo, ogni frammento, è volto a ristabilire quell’unità che due metà messe assieme possono costituire.
Lo testimonia una poesia che richiama, a parziale conferma delle tonalità teneramente infantili del sentimento descritto, l’addizione 1+1 dei diari scolastici e dei cuori incisi sui tronchi degli alberi:
viaggiatori alla scoperta di un
numero
complicato e semplice il 2 ovvero
1+1
il problema forse non è il due ma
trovare l’uno
per poter fare il 2
la matematica non l’ho mai capita
torno a te
la città si stende fino alla tua finestra
a lasciarmi vedere il tuo sonno
torno a te
Movimento di andata e ritorno verso se stessi e verso la persona amata (“torno a te”), importanza dell’attesa, sensorialità (“sfioro il tuo viso mentre dormi / lo faccio ogni notte per non perdere i / lineamenti”), e poi natura, tempo (una fortunata formula ad un certo punto recita “nell’amore il tempo è l’altro”) e linguaggio (“che parola lasciarti / se tu sei / il dizionario / amoroso?”): sono molti i sentieri, alcuni battuti altri solo accennati, o vagamente tracciati, che attraversano il diario amoroso. Forse ognuno di questi elementi avrebbe potuto crescere ancora e arrivare a sbocciare, mostrarsi maturo al pari di quella selezione di belle formule che ogni lettore e lettrice può arrivare a fare da sé. Ma la raccolta, al pari dell’amore di cui dice, più che un processo di lenta maturazione testimonia l’urgenza di raccontare qualcosa di già esploso, sbocciato, vivo e pulsante. Qualcosa che si nutre del presente per vivere al meglio, lasciandosi alle spalle il passato e non concedendo troppe attenzioni – nonostante i titoli delle varie sezioni, che portano il nome di diversi tempi verbali, lo richiamino più volte – al futuro.
La lunghezza, infine, parrebbe giovare a queste poesie. Forse permette loro – o in parte le costringe – a servirsi di più parole, e non tutte uguali, e a fare uno sforzo di ricerca lessicale maggiore, per cui alla fine i componimenti più lunghi risultano meno retorici di quelli brevi, e sostanzialmente migliori.
Un plauso finale va al lavoro d’impaginazione e uno, rinnovato, alla realizzazione e alla scelta degli scatti che compongono l’apparato fotografico.