Alessandro Grippa (Treviglio, 1988 ), vive da sempre a Caravaggio. Diplomato al biennio di Arti Visive all'Accademia di Belle Arti di Brera, nel 2009 è tra i fondatori di Caravaggio Contemporanea, collettivo di giovani artisti e curatori. E’ inoltre vice presidente dell'associazione GSI Lombardia Onlus, per la quale dal 2010 collabora come volontario a progetti di cooperazione tra Italia e Africa occidentale. E' presente nell'antologia a cura di Stefano Guglielmin e Maurizio Mattiuzza Zenit Poesia (Milano, La Vita Felice, 2015). Una selezione di suoi inediti è stata pubblicata in Atelier nel settembre 2014 (qui)

da Atelier 89, dal Dossier sulla traduzione

ATELIER89 da Atelier 89
L’esilio del poeta

dal Dossier sulla traduzione

Sugli scorsi numeri di «Atelier» abbiamo pubblicato tre interventi sul tema della traduzione di Carmen De Stasio, Giuliano Ladolfi e Antonio Melillo, ideatore e coordinatore della ricerca. Concludiamo il lavoro con una serie di interviste a studiosi esperti in materia cui è stato sottoposto un apposito questionario.

Si dice che le traduzioni “invecchiano”. Condividi questa affermazione, e perché?

RAFFAELE ASTRUA: Sì, basti pensare all’Eneide di Annibal Caro, ormai di difficile lettura per qualsiasi studente liceale.

LUCA D’ONGRIA: Certo, le traduzioni “invecchiano”: si tratta di prodotti inevitabilmente legati a una determinata epoca per gusto, lingua, impostazione di fondo. Ciò non toglie che per la loro eccellenza tecnico-stilistica talune traduzioni siano diventate a loro volta testi canonici o, quantomeno, meritevoli di autonoma considerazione. Penso, un po’ prevedibilmente, all’Eneide tradotta da Caro e all’Iliade tradotta da Monti, che quanto a immediata intelligibilità e a fedeltà filologica sono state superate o surclassate da tante traduzioni più recenti (per esempio Canali, Fo per l’Eneide; Calzecchi Onesti, Ciani per l’Iliade), ma che almeno fino a qualche tempo fa hanno goduto di una larghissima fortuna scolastica (senza dire del loro influsso su altri poeti: basta pensare all’importanza di Caro per Leopardi). Oppure – per fare un solo esempio tra i numerosissimi di scrittore-traduttore nel Novecento italiano – penso a Landolfi traduttore di Gogol’: i Racconti di Pietroburgo sono anche, e in un certo senso, anzitutto un esempio formidabile della sua prosa e potranno sempre essere letti o studiati in quanto tali. Insomma tutte le traduzioni invecchiano, ma non tutte sono destinate all’obsolescenza e all’oblio.

NICOLA D’UGO: Tutto invecchia, raggiunta una certa maturità, e comunque si modifica. Fa parte dei fenomeni naturali. Le lingue naturali sono in continua evoluzione diacronica e sin- cronica e questo ricade, come per qualunque opera scritta e orale, anche sulle traduzioni, delle quali comunque, nei casi migliori, resta una sorta di “aurea” epocale. Quindi le traduzioni invecchiano, così come invecchiano le opere originali. Senza differenza.

RICCARDO DURANTI: Se si parla di traduzioni interlinguistiche, condivido l’affermazione. È uno dei (tanti) paradossi della traduzione quello che l’originale rimane sempre se stesso mentre le varie versioni subiscono i cambiamenti non solo intrinseci delle interpretazioni soggettive, ma anche quelli esterni dovuti all’evoluzione della lingua. Idealmente, ogni 30/50 anni si dovrebbe verificare la freschezza di una versione e la sua comprensibilità; eventualmente, procedere con una ritraduzione.

LORENZO SPURIO: L’opera dei traduttori si è rivelata nel tempo di fondamentale importanza, non solo perché, soprattutto nel caso delle lingue straniere, ha permesso di diffondere testi letterari nati in dati contesti geografici in altri Paesi e di venire a conoscenza con nuovi autori, fasi e letterature che hanno segnato distintamente il percorso letterario, ma anche per- ché il traduttore, essendo figlio del suo periodo storico, ha messo in atto nel suo approccio di interpretariato una serie di parametri collegati alla sensibilità del periodo che viveva, al clima etico-sociale, alle inclinazioni religioso-filosofiche, e così via. Ciò ha permesso di avere traduzioni di classici nel corso della storia anche sensibilmente diversi tra di loro. Si badi bene, non differenze strutturali macroscopiche nel tessuto connettivo della storia, nel plot, che poi rima- ne sempre lo stesso, ma sostanziali anche mediante l’utilizzo di un determinato termine, portatore di analogie e significati, piuttosto che un altro. Si è visto cioè come nel corso della sto- ria alcune traduzioni si siano dimostrate mal fatte, strumentali, incongrue o addirittura azzardate rispetto al testo originale e quanto si sia fatto importante e decisivo il ruolo del traduttore che non deve essere una persona che traduce parola per parola in maniera schematica, ma che entra in sintonia con la storia, la assapora, la vive, tanto da narrarcela con le sue parole.


 

 


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