Blaise Cendrars, estratti da “Prosa della Transiberiana e della piccola Jehanne de France”

Traduzioni a cura di Mario Eleno e Manuela Mosè; introduzione di Paolo Rumiz

 

Un atto di amore disperato trasporre in italiano una delle poesie più intraducibili della poesia francese, una cosa che è tutto ritmo, scossoni, stantuffi, betulle che scorrono al finestrino, samovar che sfiatano in fondo agli scompartimenti. “Chocs, rébondissements…”. L’ho amata fin dal liceo – ah, quell’edizione originale Denoël, un po’ giallina e come ciclostilata, e avviluppata in carta velina! – e in me che avevo già la malattia dell’Est e delle cupole a cipolla nella neve, ha contribuito non poco a creare uno sviscerato amore per i treni, un amore spinto fino all’autolesionismo, fino al gelo degli spifferi tra i vagoni polacchi e al caldo infernale degli scompartimenti turchi, con la metrica sincopata dei binari che produce versi a torrenti e miscela immagini e ricordi in modo favoloso. “Dis, Blaise, sommes-nous bien loin de Montmartre?”, mi frulla ancora nella testa quella domanda della petite Jehanne che rilancia più volte il racconto, gli impedisce di afflosciarsi, lo fa ripartire di slancio come un convoglio dopo una sosta in mezzo al nulla, e allora la poesia si distende di nuovo, si allarga come una fisarmonica, si infila come un serpente nei boschi sterminati oltre gli Urali. Quanta percezione animale della vita in Cendrars: l’ho ritrovata nelle sue cronache della Grande Guerra, dove i dettagli sono tattili, hanno odore, e dove la coralità degli eventi del secolo breve appaiono in tutta la loro evidenza, con la storia del singolo che si rapporta sempre a quella dei popoli. Masse in movimento, che non vorrebbero andare ma che sono forzate a farlo, mentre le mercanzie viaggiano liberamente, assurdamente, passano oltre le guerre e i fiumi pieni di cadaveri, mentre un signore grasso con sigaro e panciotto annota i suoi guadagni su un libro mastro aziendale. Confido che questa traduzione faccia riscoprire un autore tra i più originali del Novecento e spinga i lettori ad affrontare l’originale francese della Trans-siberiana, una delle ballate più musicali della letteratura mondiale.

 

 

Paolo Rumiz

 

*        *        *

 

[…]

«Blaise, di’, siamo tanto lontani da Montmartre?»
Siamo lontani, Jeanne, sei in corsa da sette giorni
Sei lontana da Montmartre, dalla piccola altura che ti ha nutrita, da Sacre-Coeur contro cui ti sei rannicchiata
Parigi è scomparsa e la sua enorme vampa
Non c’è che la cenere interminata
La pioggia che cade
La torba che si gonfia
La Siberia che vortica
Le grevi cortine di neve che montano
E il sonaglio della follia che tinnisce come un ultimo desiderio nell’aria livida
Il treno palpita nel cuore degli orizzonti plumbei
E il tuo dolore sghignazza…
«Di’, Blaise, siamo tanto lontani da Montmartre?»
Le inquietudini
Dimentica le inquietudini
Tutte le stazioni smangiate oblique sulle rotaie
I fili telegrafici ai quali stanno appese
I pali contorti in una smorfia che gesticolano e le strangolano
Il mondo si stira s’allunga e si ritira come una fisarmonica che una mano sadica tormenta
Nelle ferite del cielo le locomotive furiose
Si precipitano
E negli squarci
Le ruote vertiginose le bocche le voci
E i cani del malaugurio che ci latrano alle calcagna
I demoni sono infoiati
Ferraglie
Tutto è un accordo dissonante
Il brun run-run delle ruote
Colpi
Sbattimenti
Siamo una buriana dentro il cranio d’un sordo…

 

[…]

 

«Di’, Blaise, siamo tanto lontani da Montmartre?»
Ma non… dammi pace… lasciami tranquillo
Hai le anche spigolose
Il tuo ventre è pungente e hai lo scolo
È tutto ciò che Parigi t’ha piantato nel grembo
È anche un briciolo d’anima… perché sei piena di disgrazia
Ho pietà ho pietà vieni da me sul mio cuore
Le ruote sono i mulini a vento del paese di Cuccagna
E i mulini a vento sono le stampelle che un mendicante fa volteggiare
Siamo gli sciancati dello spazio 

 

[…]

 

«BLAISE, DI’, SIAMO TANTO LONTANI DA MONTMARTRE?»
Ho pietà ho pietà vieni da me ti racconterò una storia
Vieni nel mio letto
Vieni sul mio cuore
Ti racconterò una storia…

 

Oh vieni! vieni!
Alle Figi regna l’eterna primavera
L’indolenza
L’amore manda in deliquio le coppie nell’erba alta e la calda sifilide s’aggira sotto i banani
Vieni nelle isole remote del Pacifico!
Hanno il nome della Fenice, delle Marchese Borneo e Giava
E Celebes dalla forma di gatto.
Non possiamo andare in Giappone
Vieni in Messico!
Sopra i suoi alti pianori i tulipani fioriscono
Le liane tentacolari sono la capigliatura del sole
Si direbbe la tavolozza e i pennelli d’un pittore
Colori altisonanti come gong,
Rousseau c’è andato
Ne è stata abbagliata la sua vita.
È il paese degli uccelli
L’uccello del paradiso l’uccello-lira
Il tucano il tordo beffeggiatore
E il colibrì che fabbrica il nido nel cuore dei gigli neri

 

Vieni!
Ci ameremo fra le rovine maestose d’un tempio azteco
Sarai il mio idolo
Un idolo variopinto infantile un po’ sconcio e bizzarramente strano
Oh vieni!

 

Se vuoi andremo in aeroplano e sorvoleremo il paese dei mille laghi,
Vi sono notti smisuratamente lunghe
L’antenato preistorico avrà paura del mio motore
Atterrerò
E costruirò un hangar per il mio aereo con ossa fossili di mammut
Il fuoco primitivo riscalderà il nostro povero amore
Samovar
E ci ameremo alla buona da bravi borghesi vicino al polo
Oh vieni!

 

Jeanne JEANNETTE Ninette nini ninuccia nennona
Mimi miamore mia pupattola mio Perù
A nanna mammocciona

 

Capelli di carota caccolina di cioccolata
Cocchina piccolo cuore
Nocchettina
Caprettina tenerella
Mio piccolo peccato appetitoso
Stupidella
Cucù
Dorme.

 

[…]

 

 

*        *        *

 

 

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