Atelier 91
Tempo di chiarimenti
Da Noemi De Lisi: il poema dell’orfano
di Andrea Fallani
La stanza vuota (Giuliano Ladolfi Editore, Novara, 2017) di Noemi De Lisi è un poemetto che solo esteriormente, per lo stile prosastico dei versi, può dirsi narrativo; perché in realtà nessuna storia viene raccontata e nessun gesto o evento può dirsi veramente accaduto. Tutto è filtrato dalla prospettiva di un io lirico che stenta a prendere consistenza, e allo stesso tempo tenta disperatamente di identificarsi con l’altro, la madre prima, Anna poi, il padre, forse, negli ultimi allucinati e allucinanti “capitoli” del libro. La memoria di questa voce parlante è inattendibile: sembrano sfuggire i perché, i nessi di causa-effetto, così che tutta la realtà esterna si deforma, si sfalda davanti agli occhi del protagonista; pagina dopo pagina cresce la sensazione che quanto ci viene “raccontato” sia inattendibile, che la psiche del soggetto crei certe immagini, inventi ricordi, tenga in vita ciò che invece è morto. Per capire il fondo di questa poesia intrisa di un dolore che non ha origine e di un senso di perdita costante, dobbiamo rifarci al concetto psicoanalitico di orfano.
[…]
Aveva scelto pochi ricordi da ripetere a memoria.
Vissi con lei così a lungo che ignaro li imparai tutti.
E se lei cominciava a recitare:
“Presi a scendere la rampa correndo,
avevo in braccio il mio bambino,
il suo corpo sussultava a ogni gradino
mentre io lo riempivo di lacrime”.
risuonava in me come un vissuto da protagonista.
Si tratta di una personalità incapace di prendere una forma, una consistenza e una memoria propria e con il bisogno spasmodico di identificarsi con l’Altro; come avviene con Anna nella seconda sezione del poema: «Sembriamo uguali», «I segni formavano delle parole, più premevo, più rimanevano: Anna sei tu. / Era il tuo nome per dirmi ogni volta, il tuo nome al posto del mio». Mentre il rapporto con la madre, o meglio, il tentativo di identificarsi con lei superando le barriere del corpo, era governato dallo sguardo, nel secondo tempo il mezzo privilegiato è la voce, in particolare il nome di lei che finisce per diventare il nome di entrambi: «e ricominciavamo, finché tra le mani non ebbi ANNA e lei non ebbe più niente» e «Non avevo mai incontrato qualcuno con il mio stesso nome»
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