Arianna Ferri – Tre inediti

FERRIArianna Ferri nasce a Spoleto nel 1992. Nel 2011 consegue la maturità classica e si trasferisce a Perugia per studiare Filosofia, dove si laurea con una tesi in Estetica. Nel 2014 si trasferisce a Bologna dove studia e si laurea in Scienze Politiche. Collabora attivamente con il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna fino al 2016. Dal 2017 studia Scienze Filosofiche. Un suo contributo riguardo il rapporto tra poesia e filosofia è stato recentemente pubblicato sulla rivista Midnight magazine. Suoi inediti sono apparsi su Poesia Ultracontemporanea e Critica Impura e sono in via di pubblicazione sulla rivista L’ombra delle parole. I suoi studi sono incentrati su questioni di natura estetica e poetica e sui risvolti che questi hanno nel dibattito contemporaneo.

Arianna Ferri
Tre inediti

*

Ogni oggetto qui
straripa in un dolore.

Allora mi faccio fiume, senza argini
mi do al mondo-mio che non mi conosce,
non mi riconosce:
il verde mi trapassa
senza parlarmi. Come questa neve
non ha alito di bianco o di febbraio.
Sono solo distratta e precipitata
in questa apatia gialla, di cancrena,
e anche il sottosuolo è più buio
ora che un latte acido – non di madre – lo ha sommerso.

Riportami a casa, mamma
piango come una bambina.
Riportami a casa e dimmi che la vita deve ancora iniziare
Si può ancora fingere una vita,
Più di ieri ho bisogno del cielo.

Oggi non c’è cielo.

*

Confessa,
ti sono insopportabile.
     – divento abisso e tu

       niente.

Questo è il mio dono,
Contenere.
Vedere come cadi e non ti rialzi.
Come cadrai e non ti rialzerai.
Un coro di bambini si alza dal fondo della stanza.
Mia madre con gli occhi neri ha ancora tanto,
tanto da fare che non può dormire.

Me lo aveva detto, la vecchia
con la gonna tirata sulle ginocchia nell’acqua

‘’Arriverà la quarta onda’’
e sarà per annegamento che torneremo alla terra
più forti e con altri Dei che portano doni,
oro, miele e paradisi di bellezza, tanta bellezza
sotto forma di oggetti da possedere
per noi che siamo solo occhi.

Un fallimento allora,
esistere in un corpo
buttato in un bar con uno schizofrenico
che urla dell’anarchia e del governo
ai piedi infradito e unghie gialle
poi in strada con la schiena frustata dal gelo,
la fatica di camminare
per inabissamento.

Io ti contengo
come ho contenuto altri prima di te,
corpi amati da altri corpi,
ma eccoti arrivare in forma di Altro
un uomo che manca il colpo e cade
si attorciglia e diventa nudo, piagnucolante
‘Non avere paura, finirà finirà’

Questa è la mia armatura.
E non mi hai neppure spogliato,
Sei rimasto lì, a specchiartici il fallimento,
l’offesa che ti sei procurato di nascosto
il pugno a tuo padre rimasto a mezz’aria.
Non ero nessuno
Un’armatura

*

Ho comprato dei nuovi blue jeans,
e sono tanto, tanto felice.
Eppure la notte fa freddo tra queste ossa.
Sei cattiva, e codarda, dice
e può cantarmelo tutta una sera.

Non una voce si alza dalle strade,
C’è ancora qualcuno a protestare per me?
Tornerà il dolore?
Ancora saprò parlare?
            Senza parola si muore,
anche dio ha bisogno di Parola.

Questo invece non è un dio
non parla una voce umana,
lui ha il muso di un cane che fiuta,
morde l’aria, vuole odori, sapori
ma io non ho più lingua.

Dove li trovo,
se quaggiù non c’è più niente che somigli al mondo,
niente che gridi VITA.

Una salita allora
abbandonare la carne
dimenticare la bambina,
la donna, la madre.

Questo seno invece si è fatto secco,
allattando la paura.
e mi trovo a pregare sulle ginocchia,
non sono cattiva.

Una donna sniffa cocaina alla luce di un lampione.
Non qui
Non in questa città sporca e nauseabonda.
Quanto a fondo è sceso il coltello
per mettere al vento le ossa.

Dov’è finito il tempo delle Madri
quando piangere era piangere
e la compassione mi riportava a casa.
Le strade si fanno impraticabili,
la testa pesa troppo per le gambe
e l’umano viene svelato
anche dove si credeva non abitasse da tempo.

Beati quelli che piangono
Beati quelli che hanno fame,
perché saranno sazi e consolati.


 

 

Fotografia di proprietà dell’autrice.