Andrew Marvell (Winestead, 1621 – Londra, 1678) è uno dei poeti più enigmatici della scuola seicentesca dei Metafisici inglesi. Eclissato dalla fama di Donne e dalla storia, visse in un momento storico di instabilità politica, fatta di sconvolgimenti repentini, guerre civili e di fermento che condussero verso la Gloriosa Rivoluzione. Quella di Marvell è un’esistenza pregna di contraddizioni e vuoti oscuri, un virulento anticattolico paladino della tolleranza religiosa e della libertà politica, irascibile amante del riserbo, puritano e sensualista, capace indistintamente di toccare le vette più alte della lirica amorosa e di far tremare la Camera dei Comuni.
Si dice che Tennyson declamasse continuamente i suoi versi, eppure nessuna delle poesie di questo patriota incorruttibile era stata pubblicata in vita e la sua fama si è delineata soltanto nel XX secolo, dopo che T.S. Eliot, che godeva di autorità critica sacrale, in un saggio del 1921 ne aveva esaltato l’arguzia e aveva dichiarato: «Pertanto Marvell, uomo del secolo più che puritano, parla con la voce della sua epoca letteraria in modo più chiaro e inequivocabile di quanto non faccia Milton».
Prima della pubblicazione dell’opera biografica di Murray, edita nel 1999, l’unico tentativo che si era posto come obiettivo una ricostruzione storica e letteraria su questo autore era stato pubblicato in francese nel 1928 con una tiratura di solo qualche centinaio di copie. Figlio di un ecclesiastico della chiesa anglicana, Marvell, facoltoso e inquieto, studia a Cambridge, scrive le sue prime poesie in latino, gira l’Europa. In una lettera datata il 21 febbraio 1653, Milton raccomanda Marvell per il posto vacante di assistente segretario di latino, sottolineando la capacità dell’amico nel padroneggiare ben quattro lingue.
Nel 1657 Milton aveva già perso la vista, allora Marvell si unisce al suo collega poeta per prestare servizio in qualità di segretario latino del Consiglio di Stato di Cromwell.
La seconda edizione del Paradiso perduto sarà preceduta da due poesie, una in latino di Samuel Barrow e una di Marvell, firmata semplicemente “A. M.”.
Occhi e lacrime di Marvell, di cui qui si propone una traduzione, segue un’introspezione “anamorfica”, in cui specchi riflettenti e rifrangenti giocano a distorcere e a correggere l’immagine, occhi che vedono realmente solo se offuscati, solo se attraversati dalla marea delle lacrime che d’acqua incidono la vita, solcando gli occhi disposti ad aprirsi al nulla, alla verità, a Dio. Le lacrime, punto di vista liquido, sono “l’essenza dell’occhio” come dice Derrida in Memoria di cieco: «impossibile piangere con un occhio solo quando se ne hanno due».
«Ma beati coloro che il Dolore ha benedetto/ che più piangono e meno vedono», perché vedere non significa guardare. Un anonimo inglese della fine del Trecento così scrive: «la mente contemplativa, per elevarsi a Dio, deve spogliarsi di ogni determinazione e diventare cieca al mondo per rivestirsi della divinità e approdare a una visione più profonda».
È l’esperienza delle lacrime un’esperienza apocalittica che disvela, escatologica per colui che, toccato nel profondo, arriva al pianto. «Le lacrime conferiscono un carattere di eternità al divenire, lo salvano», dice Cioran.
Questo Marvell lo sapeva di certo, conosceva il discrimine tra vedere e piangere e che la cecità dell’amico John Milton, autore del dramma cosmico, non era altro che «una benedizione, un premio, un omaggio, una ricompensa divina, un genio della veggenza poetica e politica», era consapevole che le lacrime aprono le cataratte dell’anima e, annebbiando la vista, la purificano e concedono il dono della profezia.
Sarah Talita Silvestri
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Occhi e lacrime
Con quanta sapienza Natura ha deciso
che si pianga e si veda coi medesimi Occhi!
Così che avendo visto l’inane oggetto
fossero pronti all’afflizione.
E poiché la Vista da sé si inganna,
da una prospettiva errata afferra ogni altezza,
queste lacrime che meglio soppesano tutto,
scendono a precipizio e graffiano d’acqua.
Due Lacrime che il dolore ha gravato
sulla bilancia di entrambi gli Occhi,
che con pari decoro versate,
sono il vero onorario di ogni mia gioia.
Quello che al Mondo sembra più bello,
financo un Sorriso, si tramuta in Pianto:
e ogni Tesoro che ammiriamo
si disfa entro questi Pendenti agli occhi.
Ho attraversato ogni Giardino,
tra il vermiglio, il niveo e il verde;
eppure, da ogni corolla nessuna dolcezza
ho estratto se non queste Lacrime.
Così ogni giorno il Sole onnisciente
distilla il Mondo con Raggio Chimico;
ma trova solo l’Essenza del Lacrimare,
sfamata direttamente sul dorso della pietà.
Ma beati coloro che il Dolore ha benedetto
che più piangono e meno vedono
e per custodire la loro Vista autentica,
irrorano gli Occhi nella propria Rugiada.
Così Maddalena nelle Lacrime più savie
dissolse quegli Occhi ammaliati,
le cui catene liquide potevano fluire
e annodare i piedi del suo Redentore.
Non le vele colme che in fretta volgono a casa,
né le dame pudiche gravide in grembo,
neppure Cinzia che sciama in spettacoli sublimi,
come due Occhi turgidi di pianto.
Il fulgido Sguardo che sferra Desiderio,
intriso in questi Flutti, disperde il suo fuoco.
Così il Tonante, sovente mosso per pietà,
lì placa il sibilo del lampo.
Non come Profumo ma come Lacrima
l’Incenso era accetto al Cielo.
E le stelle appaiono superbe nella Notte,
ma come Lacrime di Luce.
Allora aprite, miei Occhi, la vostra doppia paratoia,
e praticate il vostro compito più nobile.
Poiché anche altri esseri vedono o prendono sonno;
ma solo gli Occhi dell’uomo sanno piangere.
Ora come due Nuvole dissolte che cadono
e si arrestano a distanza di ogni lacrima,
ora come due Fontane che irrorano,
ora come due maree che ricorrono e sommergono.
Così lasciate che i ruscelli zampillino dalle vostre fonti,
fino a che Occhi e Lacrime siano la medesima cosa
e ognuno sostenga la differenza dell’altro:
gli Occhi che piangono, le Lacrime che vedono.
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Eyes And Tears
How wisely Nature did decree,
With the same Eyes to weep and see!
That, having view’d the object vain,
They might be ready to complain.
And since the Self-deluding Sight,
In a false Angle takes each hight;
These Tears which better measure all,
Like wat’ry Lines and Plummets fall.
Two Tears, which Sorrow long did weigh
Within the Scales of either Eye,
And then paid out in equal Poise,
Are the true price of all my Joyes.
What in the World most fair appears,
Yea even Laughter, turns to Tears:
And all the Jewels which we prize,
Melt in these Pendants of the Eyes.
I have through every Garden been,
Amongst the Red,the White, the Green;
And yet, from all the flow’rs I saw,
No Hony, but these Tears could draw.
So the all-seeing Sun each day
Distills the World with Chymick Ray;
But finds the Essence only Showers,
Which straight in pity back he powers.
Yet happy they whom Grief doth bless,
That weep the more, and see the less:
And, to preserve their Sight more true,
Bath still their Eyes in their own Dew.
So Magdalen, in Tears more wise
Dissolv’d those captivating Eyes,
Whose liquid Chains could flowing meet
To fetter her Redeemers feet.
Not full sailes hasting loaden home,
Nor the chast Ladies pregnant Womb,
Nor Cynthia Teeming show’s so fair,
As two Eyes swoln with weeping are.
The sparkling Glance that shoots Desire,
Drench’d in these Waves, does lose it fire.
Yea oft the Thund’rer pitty takes
And here the hissing Lightning slakes.
The Incense was to Heaven dear,
Not as a Perfume, but a Tear.
And Stars shew lovely in the Night,
But as they seem the Tears of Light.
Ope then mine Eyes your double Sluice,
And practise so your noblest Use.
For others too can see, or sleep;
But only humane Eyes can weep.
Now like two Clouds dissolving, drop,
And at each Tear in distance stop:
Now like two Fountains trickle down:
Now like two floods o’return and drown.
Thus let your Streams o’reflow your Springs,
Till Eyes and Tears be the same things:
And each the other’s difference bears;
These weeping Eyes, those seeing Tears.
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BIBLIOGRAFIA
Derrida, Memorie di cieco, AESTHETICA 2020.
Marvell, Complete Poetical Works of Andrew Marvell, Delphi Classics 2014.
Murray, World enought and time. The life of Andrew Marvell, St. Martin’s Press, New York 2000.
Autore anonimo, La nube della non conoscenza, a cura di Piero Boitani, Adelphi 1998.
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© Fotografia di Carlotta Silvestri