Emanuele Franceschetti è nato ad Ancona, nel 1990. Laureando in Musicologia alla Sapienza, vive tra Montegranaro (Fm) e Roma. Chitarrista, studia (disordinatamente e incessantamente) da sempre jazz e improvvisazione, perfezionandosi, tra gli altri, con Roberto Zechini e Ramberto Ciammarughi. Da sempre orientato verso la letteratura, il teatro (laurea triennale in storia del teatro con una tesi su Antonin Artaud) e la poesia: è del 2011 la sua prima raccolta in versi Dal labirinto (Forlì, L’arcolaio) cui segue Terre aperte (Ancona, Italic Pequod, 2015). Collabora stabilmente con Quid Culturae, periodico d’arte e cultura diretto da Filippo Davoli.
Emanuele Franceschetti
(inediti)
I
Un vento lontano rimescola terra e cenere
sul davanzale. Nemmeno te ne accorgi,
se improvviso un canto fiorisce
come da un contrappunto che si scioglie,
come volando in equilibrio sul bordone,
un canto che non sai.
**
La cenere si scompone tra le dita,
non puoi raccoglierla e gettarla via,
non puoi farne corpo in evidenza.
Quest’inconsistenza non promette nulla.
Spaventa questa fragilità della materia,
questo non esserci più, ad un tratto,
sospesi nel pulviscolo, a mezz’aria.
***
D’amor sull’ali rosee..
Chissà com’era, Maria, ad averla vicino,
ad intuirne la voce in un giro d’ombra.
Quasi la immagino tra le mani del poeta,
curva sulla sua spalla, come un cristallo tra dita curiose,
a maledirsi d’un amore senza corpi, senza storia.
Quella voce risuona ora nella stanza, sfibra il silenzio.
Appena mi vergogno di quest’evocazione digitale
II
Scrivo. E l’ultima sigaretta sporca appena
quest’aria di notte immobile, lunare.
E’ un gesto meccanico, insensato. Eppure irrinunciabile.
E’ l’ultimo cattivo consiglio del cuore,
mezzo minuto ancora ad invecchiare il sangue,
concedersi una posa, un’eleganza di maniera.
Eppure è illusoria la macchinazione:
la pagina resta inviolata.
Cedi al sonno, mi dico, lascia andare
il fiato, riposa. Ora la notte
procede, immacolata, tace la penna
nascosta tra la carta.
Mi chiedo se sia altro da questo la morte,
mi grido la paura di lasciare indietro un dettaglio,
una minuzia, un’occasione.
Sorrido, per un attimo,
di quest’incomprensibile tenacia.
III
Sei un volto che il mio volto riconosce.
Siamo il tempo ferito al suo affacciarsi,
il primo colpo freddo dell’autunno
che rinserra i muscoli,
ricomprime il sangue e poi lo scioglie.
Siamo creature svelate al cielo
dalla chimica degli atomi,
dal calco inconoscibile del cuore.
E in questo, sì, ti riconosco ancora.
Emanuele Franceschetti è nato ad Ancona, nel 1990. Laureando in Musicologia alla Sapienza, vive tra Montegranaro (Fm) e Roma. Chitarrista, studia (disordinatamente e incessantamente) da sempre jazz e improvvisazione, perfezionandosi, tra gli altri, con Roberto Zechini e Ramberto Ciammarughi. Da sempre orientato verso la letteratura, il teatro (laurea triennale in storia del teatro con una tesi su Antonin Artaud) e la poesia: è del 2011 la sua prima raccolta in versi Dal labirinto (Forlì, L’arcolaio) cui segue Terre aperte (Ancona, Italic Pequod, 2015). Collabora stabilmente con Quid Culturae, periodico d’arte e cultura diretto da Filippo Davoli.
Fotografia di proprietà dell’autore