Franco Buffoni (Gallarate, 1948) ha pubblicato le raccolte di poesia Nell’acqua degli occhi (Guanda 1979), I tre desideri (San Marco dei Giustiniani 1984), Quaranta a quindici (Crocetti 1987), Scuola di Atene (Arzanà 1991), Suora carmelitana (Guanda 1997), Songs of Spring (Marcos y Marcos 1999), Il profilo del Rosa (Mondadori 2000), Theios (Interlinea 2001), Del Maestro in bottega (Empiria 2002), Guerra (Mondadori 2005), Noi e loro (Donzelli 2008), Roma (Guanda 2009), Jucci (Mondadori 2014), Avrei fatto la fine di Turing (Donzelli 2015), O Germania (Interlinea 2015). L’Oscar Poesie 1975-2012 (Mondadori 2012) raccoglie la sua opera poetica. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005), per Marcos y Marcos Una piccola tabaccheria. Quaderno di traduzioni (2012). È autore dei saggi Con il testo a fronte. Indagine sul tradurre e l’essere tradotti (Interlinea 2007), L’ipotesi di Malin. Studio su Auden (Marcos y Marcos 2007) e Mid Atlantic. Teatro e poesia nel Novecento angloamericano (Effigie 2007); dei pamphlet Più luce, padre (Sossella, 2006) e Laico alfabeto (Transeuropa 2010) e dei romanzi Reperto 74 (Zona 2008), Zamel (Marcos y Marcos 2009), Il servo di Byron (Fazi 2012), La casa di via Palestro (Marcos y Marcos 2014), Il racconto dello sguardo acceso (Marcos y Marcos 2016). Del 2017 l’opera teatrale Personae edita da Manni. Di recente pubblicazione Poeti, (2017, Pordenonelegge Lietocolle collana Gialla Oro
Franco Buffoni, da “La morte e Der Tod”:
Scrivo questo pezzo nell’aprile del 2015, a poche settimane dallo schianto volontario dell’aereo della Germanwings sulle Alpi francesi. E penso a Andreas Lubitz, il pilota nibelungico depresso e megalomane, bisognoso – per suicidarsi – di condurre con sé altre 149 persone. Tutto il contrario di Francesco Schettino, il comandante italiano sbruffone esibizionista e codardo, con 32 morti sulla coscienza per insipienza e sciatteria. Mi vengono in mente le due giovani donne ritratte in atteggiamento intimo da Friedrich Overbeck nel celebre dipinto Italia und Germania del 1828: i difetti delle due nazioni sono sempre gli stessi; i pregi pure. Chissà se, fondendosi maggiormente, gli Schettino non impareranno a diventare un po’ più seri e coraggiosi, e i Lubitz un po’ meno arroganti e meticolosi: anche nei confronti della morte. Ma forse il punto sta proprio lì, ed è di genere: per gli uomini come Schettino la morte è una signora con cui ancora si può ridere scherzare e bere champagne; per quelli come Lubitz der Tod è un signore austero e aguzzo che è meglio non veder danzare.
Infine, ricordando le polemiche sul fatto che Lubitz fosse rimasto “solo” nella cabina di pilotaggio, non posso che concludere con una frase leggibile persino in senso affettivo: i tedeschi non possono essere lasciati soli.
estratto da Atelier 79 – “Pre o Post” (Dicembre 2015)