Giuliano Ladolfi
Attestato
Ladolfi, Borgomanero, 2015
Nella raccolta di poesie Attestato irrompono frequentemente parole che appartengono alla concretezza dell’attualità e della cronaca; si nominano per esempio computer, droga, sballo, cellulare, internet, SMS, rete, Borsa, centri commerciali, “più consumi più alzi il fatturato”, banche come nuove cattedrali, scorie radioattive, crisi economiche, marketing, alta finanza, si fanno persino i nomi di leader politici mondiali e di alcune epidemie (peste suina e aviaria, di covid invece non si parla perché la pubblicazione di Attestato è del 2015). Ma l’ingresso di queste parole nelle pagine non dà ad esse un rilievo da protagoniste, bensì da ospiti indesiderate, invadenti e sgradite incapaci di creare conoscenza e verità. La realtà della contemporaneità mi pare entri nel libro principalmente come rumore, confusione, pericolo, fastidio, aggressione, carenza di memoria, e genera smarrimento: “Il mondo è inchiodato sul presente”. I rapporti, i contatti e i dialoghi fra le persone tendono ad allentarsi, a farsi distratti, a sfaldarsi: “non mi ascolti neppure: c’è il fragore / della pubblicità”.
La realtà è certamente presente in questi versi (“Qui parlo di minestra e di lavoro”…”hanno chiuso le fabbriche di scarpe / ed ora si lavora ai rubinetti”), ma il poeta esclude ogni urgenza e asprezza del dire e del raccontare: prende distanza dal vortice del reale, mitiga, abbassa i toni, sceglie di osservare restando su un confine, uno spartiacque: “Non mi dispiace vivere sull’orlo”. Scrivere poesie è un modo per sfuggire al silenzio e contemporaneamente per dialogare con esso: “riesco a percepire il tuo silenzio”; “il silenzio illumina parole?”.
Il paesaggio che vediamo e ammiriamo ci regala a volte momenti magici e indimenticabili come questi: “C’è un riflesso di sera / che indora la vallata: / lo vedo dal balcone, / ne è inondato tutto il Mottarone”; “se il giorno è chiaro / mi perdo a contemplare / dietro ai monti il riposo del tramonto”. Epifanie che ci lasciano immaginare che forse esiste una verità che sta oltre e ci sfugge, che le parole colgono solo occasionalmente e parzialmente: “Le parole vanno e restano / come gli sguardi o come le carezze”, e ancora “si smagliano le parole in un bisbiglio”.
Per il poeta “l’universo è immerso nel mistero” e l’uomo è “scintilla di un enigma”, ma non è l’oscurità ad interessarlo e ad attrarlo, perché è la soglia il suo punto di osservazione, perché il suo sguardo sul mondo, sui mondi, è molteplice, perché il suo linguaggio vuole dire e comunicare. Sempre con grazia classica e senza enfasi, anche nei momenti più dolorosi: “Mia mamma se n’è andata una mattina / di maggio senza disturbare”.
Giancarlo Baroni