Hilde Domin – una poesia, commento di Clery Celeste
Hilde Domin, una poesia
Commento di Clery Celeste
Di noi
Si leggerà di noi nel futuro.
Mai avrei voluto suscitare nel futuro la pietà degli alunni. Mai essere su un quaderno di scuola in questo modo.
Noi, condannati a sapere e non ad agire.
La nostra polvere non tornerà mai terra.
Ritorno con una certa urgenza a questa poesia di Hilde Domin (pubblica Del vecchio editore, traduzione a cura di Paola Del Zoppo) che dice già tutto nella sua forma di roccia verticale. Leggere la Domin è scalare su roccia, necessita di una lunga preparazione al dolore e al silenzio. Necessita del digiuno, per scalare bisogna essere lievi, risalire la verticalità privi di ogni superfluo. Lo spazio bianco della pagina impone l’esercizio del respiro, dobbiamo reimparare a respirare, abbiamo ora il tempo per far retrocedere la lingua. In questi giorni di chiusura dove le mura di casa ci contengono e ci comprimono, ci salvano e ci ingoiano, leggere Hilde Domin è un esercizio di silenzio. Nei suoi versi possiamo ritrovare la stessa comune sorte: “noi, condannati/ a sapere/ e non ad agire”. In questi giorni chi muore lo fa da solo, l’ultimo respiro si disperde nella stanza e nessuno può accoglierlo, nessuno può raccontarlo. Non ultime parole da tramandare, niente mani che si aggrappano, nessun spasmo da contenere in un abbraccio. Ma ancora di più chi rimane ora, resta solo. Questi versi della Domin mi fanno pensare a un caro amico che affronta la morte del padre chiuso nella sua stanza. Il pianto e la disperazione esistono per essere ascoltati, perché qualcuno li prenda e li tenga negli occhi, nella memoria. Ma quando si impone questa privazione allora tutte le fedi sono sconvolte, reggeremo ancora all’urto? Perché se “la nostra polvere/ non tornerà mai terra” e la sepoltura avviene senza nessuno, se il rito manca di chi può portarne l’azione e il ricordo allora siamo nell’irreale. Anche la morte diventa irreale, la tragedia si fa incredibile. Senza testimoni il dolore è ancora credibile? Chi resta solo rischia la dispersione più completa, una dispersione che non permette alcun ritorno all’elemento comune. Si resta soli, siamo però parti di un nucleo, se separati smettiamo di funzionare.
Ma “si leggerà di noi nel futuro”, amico mio. Per ora possiamo solo rifugiarci nelle parole di chi rimanendo, come Hilde Domin, ha fatto della perdita una roccia verticale altissima e ci ha inciso i nomi di tutti i cari. La poesia della Domin è marmo, non si doma senza la fatica, ha una forma che piega tutti gli altri elementi. I testi di Hilde Domin sono creature che escono dal marmo, impongono la loro forma, si fanno incidere solo per dare uno spazio alla memoria, per lasciare un varco alla pietà.
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