La cura? El confinamiento
di Hernan Rodriguez Vargas
Di recente stanno girando sui social i dipinti di Edward Hopper che ricordano noi stessi in quarantena. In numerosi dipinti dell’artista ci sono dei personaggi che, in un perfetto stato di isolamento e alienazione, vengono colpiti da una forte luce solare ma il loro stato di segregazione è tale che neanche i raggi del sole possono penetrare nelle loro espressioni stupite e meditative. Questi personaggi siamo noi: costretti all’isolamento anche in compagnia, restiamo completamente da soli. C’è la primavera fuori, che arriva, ma noi dobbiamo immaginarla. C’è la luce del sole che raggiunge le nostre finestre e i nostri balconi, ma non ci tocca, perché affacciare lo sguardo sulla strada significa renderci conto di un vuoto che non è proprio quello della strada, ma il nostro. Nei primi giorni di quarantena eravamo più allegri e scherzosi, adesso di meno. In questo momento tutto sembra come se si trattasse di un sogno. L’idea di Joseph Conrad diventa ancora una volta una grande verità: «si vive come si sogna: perfettamente soli»; mentre, paradossalmente, le nostre vite, come nella poesia di Desnos, perdono, poco a poco, la loro realtà.
Nel frattempo, due parole colpiscono al cuore i nostri valori più profondi: sorveglianza e autorità. Nel mezzo di questo sogno che abbiamo chiamato quarantena, c’è chi applaude le imponenti manifestazioni di forza, di repressione, di arbitrarietà e ci invia al contempo un messaggio dal proprio balcone: «non ci interessa più la libertà, vogliamo sacrificarla in nome dell’idea di sicurezza».
In diversi articoli è stato segnalata la metafora, inconscia, ma anche voluta, tra il Covid-19 e la guerra. Inconscia perché a molti di noi sembra chiaro che la vita è un imperativo in nome della quale bisogna combattere e sconfiggere il virus (il nostro nemico comune su scala globale); voluta perché la diffusione del virus, sin dall’inizio, ha fatto parte di un fenomeno più ampio di continua politicizzazione e così si parla in modo molto esplicito di stato di guerra, degli ospedali come trincee e della crisi economica presente e futura come economia di guerra. Una metafora sensibile e per niente sottile che contemporaneamente sottintende che una guerra, qualsiasi, essendo pura emergenza rende tutto necessario e accettabile: i sacrifici delle risorse, la ricerca di eroi, martiri e tiranni, la necessità continua di sorveglianza, il bisogno della punizione, l’accesso senza limiti alla privacy o la censura. Ogni giorno diventa un’opportunità per infilare nel nostro cuore una metafora che diventa più penetrante della luce del sole, che supera le nostre espressioni stupite e meditative e che rende accettabile anche la perdita delle nostre libertà (o di quelle che crediamo di avere). Tutto, mentre ci sembra di sognare, mentre aspettiamo impegnandoci ad essere ottimisti, mentre la nostra vita perde il senso della realtà nel mezzo dell’altra trincea, quella che abita in ogni singola testa.
La cura? Non riguarda solo salvare i nostri corpi dalla malattia, neanche salvare la nostra mente in mezzo alla grande solitudine e alla speculazione politica, dalla paura alla paura, dall’ansia di un futuro ancora incerto. Si tratta di salvare anche il linguaggio dalle cattive metafore, ad esempio, attraverso la poesia.
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El confinamiento
J’ai tant rêvé de toi que tu perds ta réalité.
Robert Desnos
Una cosa queda,
una sola,
el calor del sol
la luz de las estrellas
la utopía de la justicia
y la ilusión del mar,
el mismo mar que
debo imaginar desde
una montaña alta, de nubes,
estrellas y pájaros que
cantan del otro lado
de mis sueños.
No puedo alcanzar
las flores, sino que
debo también
imaginar su perfume
y amar en silencio
todas las cosas que
no puedo ver ni tocar:
cada cosa querida
que ha perdido
su forma en medio
de tanto silencio.
Una cosa queda,
una sola,
este anhelo de ti,
de los luceros de la noche,
de la palabra «justicia»
de las flores que florecen
y del golpe azul de
las olas en el mar
*
Il confinamento
Resta una cosa,
Una
il calore del sole
la luce delle stelle
l’utopia della giustizia
e l’illusione del mare,
lo stesso mare che
devo immaginare da
una montagna alta, di nuvole,
stelle e uccelli che
cantano dall’altra parte
dei miei sogni.
Non riesco a raggiungere
i fiori, ma
devo anche
immaginare il loro profumo
e amare in silenzio
tutte le cose che
non riesco a vedere o toccare:
ogni cosa che desidero
ha perso
la sua forma in mezzo
a tanto silenzio.
Resta una cosa,
una
questo desiderio di te,
delle luci nella notte,
della parola “giustizia”
dei fiori che sbocciano
e il colpo azzurro
delle onde nel mare.
(Traduzione di Eleonora Rimolo)
*
Nell’immagine: E. Hopper, “Hotel By A Railroad“, 1952.