Gabriele De Simone – Tre inediti

fb img 15517113700700280Gabriele De Simone è nato a Napoli il 27 gennaio 1996, studia Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Nel 2019 vince come miglior giovane il concorso nazionale di poesia “Città di Sant’Anastasia”. Appare e collabora con alcune riviste.

Gabriele De Simone
Tre inediti

Ora che non ho niente

Ora che non ho niente
mi tocca inventare tutto;
ripristinare il mio nulla
vivo come una placenta
dove portarmi in cultura,
gestire un ovvio decadimento
come un organo da trapianto –
palpita lungo il tragitto;
mi riparo in un grembo
di rattoppi, intesso le carni
tra loro pescando da una memoria – Sai,
anche il corpo ha una sua memoria,
e come marchio a fuoco vi s’imprime l’amore
e un’altra mandria di cose.
Chiedesti agli uomini:
dove vanno tutte quelle che dimentichiamo? Vedi,
proprio queste sono
le uniche cose che vengono e non vanno più
da nessuna parte; si annidano, arredano
il nostro sangue e tutto dentro
scavano tane, per salvarsi
dal tradirsi, per non farsi
mai parola.

*

Macelleria

L’odore della macelleria
appena uscito da scuola,
il mio purgatorio, mamma,
sono solo un bimbo e voglio correre a casa.
Un giorno avrai le chiavi e peseranno.
Ho perdonato la mia città,
perdonerò il quartiere, poi
verrà la paglia del dondolo,
le stanze, e il ventre.
Alzo la testa, tutti
siamo figli del padre: è una cosa
che mi hai insegnato tu
aspettandomi alla porta soltanto
per spiarmi tornare e lì
voltarmi le spalle, sollevata.
Schiuse il sipario
inciampando nel proprio sangue
e così lo cala. Tu pensi
di tracciare cerchi bellissimi:
guardali, sono rotelle da sperone…
Mi avessi scritto mai una poesia d’amore.
La tua mano è sempre tesa
ma non perdona un solo naufrago,
e sempre ha tremato, e trema nell’ombra
di un vecchio gioco tra le onde,
e frutti caldi nel sole, forti
del ricordo che una vita ha sempre di sé.

L’odore che sporge dalla cella,
un pascolo macabro su grandi uncini,
commisto alla segatura, per terra.
La chiave mia che vince
la serratura e spinge e ora,
ora tutto è calmo e non c’è rumore:
non un passo inficia il cammino…
scarpe finalmente adatte:
non ci sei tu a seguirmi. Io
voglio accanto solo i deboli di cuore,
quelli che pèrdono e hanno sogni piccoli,
matti spacciati nei loro gorghi a ridere,
santi incapaci di morire.

*

Aliano

La prima mattina riemergo
dalla terra umida tirato dal sole
– ora la pelle vi si associa –
e accetto la mosca come suo peregrino
asciugo le ossa affacciando alla valle
non credo agli occhi delle mie prime aquile
tutto è un avvorticarsi un imbuto d’ali e allora
mi prendo questo momento e lo ricordo per sempre
siamo io e il nibbio e le rondini tortore rondoni
un’aureola castana che veglia
sulla valle come fa in Giappone
il respiro dei boschi di montagna, cerco
nella valle i lupi come si cerca un amore
sono qui a spillare io
la pazienza da ogni frutto acerbo
mano a mano che appesa il ramo, comando
il mio cuore di aggrapparsi amico
al rombo di calabrone, deglutire
ogni allarme e non far stecche
nel silenzio arroccato di paese –
nei vicoli all’alba un bastone,
l’anima di un brigante o un pastore
governa le paure di tutti.


Fotografia di proprietà dell’autore.