Matteo Pelliti (Sarzana, 1972) vive a Pisa, dove si è laureato Filosofia. Ha pubblicato le raccolte di poesie Versi ciclabili (Orientexpress, Napoli, 2007), Boicottando mongolfiere e ghigliottine (Tapirulan Edizioni, Cremona, 2013), Dal corpo abitato (Luca Sossella editore, 2015) con le illustrazioni di Guido Scarabottolo e un cd audio con la voce di Simone Cristicchi, cantautore col quale collabora stabilmente dal 2005. Ha pubblicato la fiaba in ottava rima “La bicicletta gialla” (Topipittori, Milano 2018) con le illustrazioni di Riccardo Guasco (uscito nel 2019 anche in edizione spagnola per Liana Editorial). Il suo diario pubblico è www.coltisbagli.it Matteo Pelliti
Uscita editoriale
da Dire il colore esatto (Luca Sossella, 2019)
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Grammatica del cogito
Se è vero che all’origine
del cogito vi sia un co-agitare
tra loro i pensieri insieme,
non vi è immagine più falsa
del pensatore, rodiniano,
posato nella posa di chi pesa
il senso, il senno e il peso
che appunto si ritrova
nel suo pensoso ponderare.
Chi pensa àgita,
ed è agitato, agìto
dai pensieri che rimesta
e incolla a salti, a scarti, a strati
densi, come vino scuro
che oscilla e ruota nel cratere.
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Il dolore degli altri
In un regionale affollato,
da Vernazza a La Spezia,
raccolgo le confessioni
di un anziano avvocato.
Seduto di fronte a me,
le ginocchia che si sfiorano,
scenderà a La Spezia Migliarina:
disegna il bilancio spietato
di un’esistenza e lo espone
a una signora che l’accompagna,
forse un’amica o la sorella.
Settantenne elegante, Lacoste verde,
rivolge a sé critiche dolenti e puntuali.
Soffro con lui, per lui, ad ogni dato
sensibile che srotola, salute,
tre denti bacati, poi gli insuccessi
professionali, le umiliazioni, i complicati
rapporti intra familiari,
infine le delusioni amicali.
Pensavo a questi luoghi letterari
che sono quasi diventati
i lacerti di conversazione captati
sui treni, sui mezzi
pubblici, le vite degli altri,
carne da “status”, come la propria,
in fondo, legati in brevi stringhe di testo.
Nel mentre mi raggiunge la notizia di un corpo
che nello stesso giorno, in altro luogo,
si è lanciato da un viadotto, ed era quello
di un nostro vicino che avresti detto strambo
parlandogli un poco, sulle scale di casa.
Intorno a questo scoglio bianco,
la nostra magnifica e fortunata vita
che ci pare naturalmente propria e dovuta,
vedo il lago di nero petrolio
del dolore degli altri, del mondo incompreso,
allargarsi senza alcun senso.
Come la carneficina lungo la promenade
di Nizza la sera del 14 luglio,
un camion che falcia la folla, cieco.
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Bianco
Abbiamo usato il verde, il grigio o il turchese
per scrivere del bianco, in modo che fosse
più interessante la descrizione del bianco,
ma ora vorrei invece parlare del bianco
chiamandolo bianco, restituire alla parola
i contorni che aveva, e scrivere una poesia
dove il male è male
e il bene, bene;
dove il giusto appare giusto
anche a chi non sa ancora scrivere
o leggere, dove le cose hanno la consistenza
delle cose, un poesia, mi direte, elementare,
didascalica, didattica, per nominare
ciò che accade, quando accade.
Ad esempio chiamare “razzismo” il razzismo,
o “schiavismo” il caporalato,
o “fascismi” le crescenti intolleranze
non solo xenofobe, e di ogni colore.
Allora questa poesia non sarà più civile
per ellissi, stile, proposito ma si propone
di dire, come dice il proverbio, pane
al pane, sempre più amaro, del presente.
Fotografia di Nicola Ughi