Davide Brullo ha pubblicato Annali (2004), L’era del ferro (2007), Abbecedario antartico (2017). Il romanzo Un alfabeto nella neve (2018) è centrato sulla figura di Boris Pasternak. Ha tradotto i Salmi.
Davide Brullo
Gries (Nino Aragno editore, 2019)
Anteprima editoriale
Lettera dall’inverno
«dio non è latrato né sforbiciare di linci
ma lasciammo le case dai muri onesti perché
l’erba sembra cera ed è lì che è inscritta
la nostra fede» disse intersecando i verbi ai volti
non è cifrato il palco dei cervi e se mi insegnassi
come si può fossilizzare una carezza
anche nel trapianto delle civiltà potrei stabilire
un’ambasceria di baci – e forse in ritardo sperare
che sia teologia la successione dei boschi
profondi come un vocabolario
ma abbiamo sotterrato i nomi dove le spighe
sembrano mercenari in esilio – ed è decuplicata
l’ala del gheppio – conosci chi sbandiera il giusto
favorendo il massacro… mi chiedi se ho pace
nonostante sia pilotata la memoria e la pietà
ma con stilettate di gioia dagli altri mondi
mio padre mi costringe a inseguirlo – che casa
è questa con mura che sembrano occhi di
capodoglio?
non fu essenziale al regno la neve ma essa
mi ricordò la purezza delle mani e la codardia
del bosco – quando pensai che l’amore fosse pietra
«nel gelo è l’annuncio» hai detto – e rinunciai
eppure come una legge egizia riassunta negli occhi
delle locuste tornarono tutti i verbi e i ritratti
e furono le mie giunture a diventare cinghie di ghiaccio
abbiamo avuto stagioni d’argento e braccia
come alberi disposti a ospitare il giudizio della tigre
«bendi di attese la mia presenza» hai detto e non
mi servì giurare sulle città di gesso – mi hai chiamato
“licaone” per poi inguainare la casa di lettere
simili a cimici – “mostro” – e ti mostrai l’idolatria
dei morti e un rifugio per gli anni dispari
– «sparirai come una nevicata» – e rividi un figlio
sull’aquilone delle risate rompere il prato protetto
dal richiamo – abbiamo vissuto dentro un elmo di api
le ricorrenze stonano con l’armatura dei pini
– non serve pitturarsi il viso di blu per adescare
il futuro in un angolo – a patto che tu sia
un figlio partorito da un’ode e da un sogno di linci
la generazione del ritorno è terminata – lo sai
e la venditrice offre i bicchieri come i cuori di una
legione di angeli che si è sbriciolata nel Caucaso
– quale ribellione può farci risorgere ora? – il bimbo
cresciuto tra le vergogne della magnolia perdona
perfino le finestre per la loro vegetale avidità
«senza la rabbia non si conserva un impero
e se non detergi di paura le ambizioni degli uomini
perderai » – e non sai che è nel crollo il favore
degli abeti – e che a mappare i palmi fu
una pietà più antica della morte –
e mi gettai nel buio simulando la faina
«non ti soccorre la fede – ma la faida» disse
mentre la risacca dell’alba abbandonava
sogni ossificati nella stanza obbedendo
al biasimo di dio – a vendette insoddisfatte
qualcosa di celeste è nel nome con cui mi chiami
da una clausura che supera la generosità dei gabbiani
«amo – perché precipiti» – la manovra con cui
le tigri immortalano il confine fu così devota
che riconobbi un amore sommario
bruciarono linci in mio onore – le fiamme piangono
con voci di donna – «con la resina che piove
dagli alberi sofferenti imprimono monete da cui
estrarre i re»
mi dissero ma ornare di incendi i calendari e questa
Cappadocia di fotografie impagliate fu puro
estremismo
ancora dibattiamo di dèi quando i migratori hanno
scoperto una nuova foresta nel vento e vene tra le
nuvole
e deviano l’Africa verso una litania di iceberg – che
amore immane
«l’avvenire implica audacia e un impegno
a gestire i tradimenti» è scritto sul portone della città
potrei dedicartela – ma un letto è come un
continente
ed è più arduo di un enigma snodare le lenzuola
dove gli scorpioni hanno inciso tane secolari
un nome fa – per pacificare i morti – ritrovai
l’inverno
che muovendo le tende ha redatto la nostra biografia
«meriti l’impronta di un gergo angelico» dissi
«ricalca
la provenienza del perdono e l’assonante
suddivisione
delle grida» hai risposto dispensandomi dalle
risposte
e chiami incauto chi ha stellato la pianura di fuochi
perché tu ti creda la figlia dei re – creata
da una parola che ha pareggiato la pioggia alla tigre
– che tu lo sappia – un dio agisce nel ghiacciaio
e considera i nostri abbracci la genesi del gelo
Fotografia di Alessandro Carli.