Francesco Macciò
Tre inediti
Si comincia sempre dal mezzo.
Nel mezzo non sono mai bianche
le pagine. Sono tutte già scritte.
Parole dette da altri, congegni
da smontare come una voce
dentro le voci. Come le cose
a picco in un’idea.
Le stesse cose a sbreghi
e suture. Le cose stesse
nel bianco di ogni colore.
*
Nella penombra un velo sugli occhi,
piccolo spazio lattiginoso di un volto
a me sconosciuto, eppure quanto di lei
ti sorride! È serena ora Virginia
ritrovato il suo bambino così
consumato e bello, trentatré giorni
di espiazione sulla terra, dolori
dappertutto, quando invocava il dio
del Calvario, il dio padre e figlio
inchiodato alla croce per riunirsi
a chi così solo lo aveva abbandonato.
Perdono e misericordia per noi
tutti nel nostro tempo impossibile,
dove incapsularlo innocuo è ormai
insipienza e moda, quel dio desolato,
già disteso come te tra due mondi
nel suo amore invisibile.
*
Ti eri fermato sulla Sopraelevata
rallentando, accostando da un lato
con la dolcezza rassegnata
del tuo sguardo dentro tutte le cose
che non avevi saputo dire. Travi
di ferro e cemento, carene, spire
di navi imbrigliate… tutto in noi
un gran daffare un attimo impensabile
prima di partire. La mente libera,
gelida la fronte sul vetro,
un cerchio di ombrelloni colorati
lungo la banchina, i tavoli
di marmo di un dehors imbanditi
nell’umido del mattino e una folla
intorno variopinta e smemorata.
Fotografia di proprietà dell’autore.