Sto seguendo con enorme interesse il dibattito sulla poesia contemporanea, suscitato dal nostro direttore editoriale, Matteo Fantuzzi, che compare sul n. 94 di “Atelier” con il titolo “Contro un possibile dadaismo”. Il fatto che il lavoro sia stato inserito tra gli editoriali dimostra che la linea indicata è condivisa dall’intera rivista. Del resto, non è difficile riscontrare una simile coerenza rileggendo l’intera storia della nostra pubblicazione partendo dal primo editoriale di Marco Merlin, continuando attraverso tutti gli interventi di carattere estetico, come la prefazione all’antologia “L’opera comune. Poeti nati negli Anni Settanta”, per giungere non solo ai miei ultimi editoriali, ma soprattutto agli atti dei due convegni (Firenze 2017 e Milano 2018) organizzati proprio sulla situazione attuale della poesia.
Giuliano Ladolfi – Call of paper: Richiesta di partecipazione “Tra slam e dadaismo”
Non dimentichiamo che la parola stessa che denomina la nostra rivista richiama l’immagine di un laboratorio, dove si entra per ritrovarsi, per discutere e per arricchirsi grazie all’apporto di tutti coloro che intendono prendersi a cuore la scrittura in versi.
Il dibattito, quindi, lo scambio di opinioni, il confronto è per noi essenziale e di questo ringrazio il direttore editoriale che ha saputo sollevarlo, perché trovo negli interventi motivi per riflettere, per mettere in discussione le nostre idee, per approfondirle o anche solo per chiarirle.
Non mi sembra opportuno rispondere in questa sede a tutte le obiezioni, a tutte le proposte, a tutte le sollecitazioni avanzate, perché ritengo di aver bisogno di riflessione, di studio e di rielaborazione teorica. Vorrei solo indicare alcune linee cui ci siamo attenuti in questi anni:
1) Noi non disprezziamo l’espressione poetica di nessuno, ripeto, di nessuno, sia di un bambino delle scuole primarie sia di un(‘)innamorato/a, che prende a prestito luoghi comuni per dichiarare il proprio sentimento. Non solo non disprezziamo la persona, ma neppure il contenuto. Questo però non significa che non sia indispensabile attribuire un valore in sede di valutazione letteraria per uscire dalla confusione secondo la quale De André (cantante prediletto in gioventù, le cui canzoni continuo a strimpellare sul pianoforte) possiede un valore letterario pari a un Mario Luzi o a un Vittorio Sereni. Il problema si configura quando lo scrittore in versi “pretende” di valere “almeno” quanto Dante. “La triste stagione del dilettantismo arrogante” è il titolo di un mio editoriale. È proprio l’arroganza che fa la differenza nel mondo della poesia. Non perché sono capace di condire un’insalata, posso “pretendere” una stella Michelin.
2) “Atelier” non ha mai steso canoni o precettisti stilistici, non ha mai indicato se usare un tipo di espressione piuttosto che un’altra. Spetta al singolo poeta la scelta, come spetta a noi valutare se il risultato di eccellenza è stato raggiunto. La rivista ha prospettato degli orizzonti poetici: una scrittura che prenda in considerazione i problemi dell’uomo, che tenti di “rivelare” alle generazioni future il volto della nostra epoca, che apra al lettore sentieri di conoscenza originale, che presenti il modo personale con cui l’autore ha abitato la terra in un preciso periodo storico. I nostri criteri sono chiari, sistemati nel saggio “L’estetica nell’Età Globalizzata” (www.atelierpoesia.it).
“E cosa vuol dire oggi scrivere poesia? È davvero, come scrive Paolo Giovannetti nel suo ‘La poesia italiana degli anni Duemila’ edito da Carrocci (p. 42), che ‘L’unico segno di poeticità ampiamente accettato, da cento e più anni a questa parte, è costituito dal fatto che quasi tutte le poesie vanno a capo in modo diverso da come lo si fa nella prosa: cioè in modo arbitrario, senza che la frase sia conclusa. Per il resto, le regole linguistiche della poesia sono altamente volatili, discontinue’?” si domanda Matteo Fantuzzi. In un editoriale ho usato il paragone tra il poeta e il meccanico e mi sono domandato se mai qualcuno, quando il motore della propria auto non funziona, intende affidarne la riparazione a una persona appassionata, ma assolutamente priva di conoscenze specifiche. La risposta non necessita di esplicitazione. Pertanto, invito i poeti a raggiungere il livello del nostro meccanico, come livello minimo, necessario, ma assolutamente non sufficiente. Una conoscenza delle strutture che regolano il “fare poesia” è indispensabile. Non è richiesta la laurea in Lettere, ma una lunga e assidua frequentazione dei testi più importanti della tradizione e della contemporaneità. Rimbaud tra 16 e 19 anni scrisse composizioni che rivoluzionarono la storia letteraria mondiale, ma il ragazzo a 14 anni scriveva distici elegiaci in lingua latina.
Fantuzzi paragona la situazione attuale all’epoca del Dadaismo: “L’alternativa è dirci tutti dadaisti e, come tutti i dadaisti, andare contro le regole del passato per il solo gusto di voltarsi dall’altra parte. (…) L’alternativa che ‘Atelier’ propone è quella di raccontare il presente con la giusta attenzione per il futuro, ma soprattutto con il doveroso rispetto del passato”. In caso contrario rivivremmo stagioni come il Petrarchismo cinquecentesco, l’Arcadia o il postermetismo della seconda metà del secolo scorso, quando bastava infilzare parole prive di senso per sentirsi poeti.
Siccome, come dicevo, il dibattito è veramente interessante e stimolante, invito tutti coloro, che lo desiderano, a inviare le proprie riflessioni all’indirizzo e-mail (g.ladolfi@alice.it), per organizzare sulla rivista cartacea un fruttuoso dibattito. I temi suscitati sono veramente numerosi per cui ci sembra opportuno valorizzare il contributo di tutti gli studiosi che intendono recare un apporto qualificato alla problematica suscitata dal nostro direttore editoriale.