Daniala Attanasio
Tre inediti
Quella cosa che chiamiamo anima
non si è accorta subito della tua scomparsa, il corpo sì.
All’inizio qualche puntura, una frustata al petto
come bere acqua ghiacciata con quaranta di febbre.
Sono rimasta interdetta dai colpi di silenzio che riempivano la stanza,
sempre più vicina a cedere agli inganni della fede,
all’eco che arriva dalle onde elettromagnetiche del cosmo.
Ricordo le tue parole poco prima di morire:
lascio, hai detto, vado da un’altra parte,
esco dalla città…
*
Eppure sento ancora il suono del battito
un colpo, una pausa, un colpo
ma faccio fatica a restare sdraiata. Le braccia sono aperte
sul lenzuolo notturno di settembre ancora caldo.
Sono le prime ore del mattino a schiudermi gli occhi
a coprire di brividi il corpo
raccartocciato nel letto come una foglia di platano.
Ecco l’odore forte del cane, il suo pelo bagnato,
le lenzuola sporche. Dalla finestra vedo un altare di nuvole
ma non si scorgono dèi impietosi, solo cornacchie
schierate su aste di antenne che giorno dopo giorno
trasformano quella batteria di ferro ossidato
nel fermo immagine della solitudine
*
Si può dire che la poesia scorra ripida come l’acqua
quando scende a pioggia o si chiude a getto in una pozza,
che rispecchi un taglio di luce anche quando i colori sbiadiscono,
che sia una rotazione dei sensi, una contraffazione dell’amore
osservato dagli occhi di Narciso –
ma la sua mirabile stravaganza è negli strappi della forma,
nella solitudine della nascita
Fotografia di proprietà dell’autore.