Etel Adnan
Anteprima editoriale da “Notte” (Genova, San Marco dei Giustiniani, 2018 (“Quaderni di poesia. Poeti della Riva Sud del Mediterraneo”)
Traduzioni a cura di Cristina Viti
Introduzione di Paolo Senna
Secondo Nathalie Handal che ha curato l’antologia The Poetry of Arab Women (New York, Interlink Books, 2001) Etel Adnan è una “poetessa che possiede numerose identità – in lei si trova a un crocevia tra est e ovest, tra paesi arabi ed Europa, tra religione musulmana e cristiana, e in lei convive contemporaneamente l’anima libanese, francese e americana”. In un’intervista a Lynne Tillman è proprio la stessa Adnan a ricordare: “Mia madre aveva i Vangeli, lei era greca ortodossa. Mio padre era un musulmano di Damasco nell’impero ottomano. Aveva il Corano, lo sapeva a memoria. Incredibile, i libri esistevano su uno scaffale uno accanto all’altro. Quindi non ho problemi con la convivenza. Sono cresciuta con essa”.
Adnan è nota soprattutto per le sue poesie di intonazione civile, in particolare per Apocalypse Arabe (definita dalla critica la “sua Guernica”), che scavano nella coscienza per far emergere le ferite e le lacerazioni interiori ed esteriori provocate dalla guerra del Libano. Con le poesie nate a partire dagli anni ’80, pur permanendo un costante contatto e confronto con la realtà e con la storia, Adnan sceglie una via che appare segnata da una persistente nota meditativa, che mette a frutto una potente capacità immaginativa e metaforica per sceverare a fondo le sfaccettature di un mondo e di una interiorità complessi. Night (Notte), che è stata pubblicata nel 2016 e che oggi esce in edizione italiana con la traduzione di Cristina Viti, esprime una tesa riflessione sull’anima, sull’universo e sulla memoria. Intimamente intrecciati, questi tre elementi si misurano l’uno con l’altro, quasi che Adnan vi individuasse non solo una medesima unità di misura, ma anche sottili adiacenze o riversamenti di uno nell’altro. Una riflessione che non conduce a esiti certi ma che si espande libera sfruttando la complessità dei sedimenti delle parole e dei loro significati, così come dei legami immaginari (ma non per questo meno reali) fra gli oggetti.
[I]
Now waves of roses are blanketing memory, but childhood’s desire to enter time’s core remains. Nothing
is stirring. Grass grows differently than words. In those roses, infinity’s infinity.
The wish to inhabit storms leads to cities in flames. Traces turn into signs and thinking precedes itself in
the deep recesses of the brain. Bodies are always naked under their clothes.
Words melt in reflections; that’s why there’s a uselessness to this night, to my missing the river, to the
delaying of love… light is picking up momentum in the vicinity of the oaks that cover this property, this
silence.
Not to be able to climb up a mountain, run from this place to the next, see things improving for friends
or nations, or even desire a clear day, not to stop the torture…
but this late afternoon, the fallen leaves were soft, walking on them didn’t seem to hurt any, they were
friendly. I went a long way. What happened later was of no importance.
Born in a sealed womb, where night is origin, I will say that something always remains from anything,
even from nothingness.
Ora ondate di rose stendono una coltre sulla memoria, ma resta dall’infanzia il desiderio di entrare nel cuore del tempo.
Nulla si muove. L’erba cresce diversamente dalle parole. In quelle rose, l’infinito è l’infinito.
Dal desiderio di abitare la tempesta nascono le città in fiamme. Le tracce diventano segni e il pensiero precede se stesso negli
anfratti del cervello. Sotto i vestiti, i corpi sono sempre nudi.
Le parole si sciolgono nei riflessi; ecco perché c’è un che di inutile in questa notte, in questo mio sentir mancato il fiume, nel
ritardare l’amore… la luce prende impeto nella vicinanza delle querce che coprono questo terreno, questo silenzio.
Non poter salire su una montagna, correre da un luogo all’altro, vedere che le cose migliorano per gli amici o per le nazioni,
o anche desiderare una giornata chiara, non fermare la tortura…
ma in questo tardo pomeriggio le foglie cadute erano morbide, camminarci sopra non sembrava far male per nulla, erano
amiche. Ho fatto molta strada. Quel che è successo dopo non ha importanza.
Nata in un grembo sigillato, dove la notte è origine, dirò che di tutto, anche del nulla, resta sempre qualcosa.
[II]
Within bits of time volcanic eruptions sprout, and fall. Of all the energies we breathe, it’s best to follow
the ones that spring out of dreams. This season is cold, as cold as my soul.
Memory, and time, both immaterial, are rivers with no banks, and constantly merging. Both escape our
will, though we depend on them. Measured, but measured by whom or by what? The one is inside, the
other, outside, or so it seems, but is that true? Time seems also buried deep in us, but where? Memory is
right here, in the head, but it can exit, abandon that head, leave it behind, disappear. Memory, a
sanctuary of infinite patience.
Entro dei quanti di tempo germogliano e cadono eruzioni vulcaniche. Di tutte le energie che respiriamo, quelle che è meglio
seguire scaturiscono dai sogni. Questa stagione è fredda, fredda come la mia anima.
La memoria e il tempo, entrambi immateriali, sono fiumi senza sponde, e si fondono in continuazione. Entrambi sfuggono
alla nostra volontà, anche se noi dipendiamo da loro. Misurati, sì, ma da chi o da che cosa? Una è dentro, l’altro fuori, o
così pare, ma è poi vero? Anche il tempo sembra sepolto nel profondo di noi, ma dove? La memoria è proprio qui, nella
testa, ma può uscire, abbandonare quella testa, lasciarsela indietro, scomparire. La memoria, santuario di infinita pazienza.
[III]
Dear soul,
I’m telling you
you live not in
me,
but around,
in a circle
a cloud
Sleep next to me,
where no one
does
don’t make me wait, as
we know so little about
each other
The heat is rising, the one
that targets young
predators when on an
outing
Why are we lonelier when
together, wherever that
be
Shall we then search for
love’s trembling
fringe
or sit under a pyramid’s
shade,
somewhere in Mexico,
the clouds,
oh the clouds!
Anima cara,
io te lo dico,
tu vivi non in
me,
ma intorno,
in un cerchio,
una nube
Dormi accanto a me,
dove non dorme
nessuno
non farmi aspettare, che
sappiamo così poco
l’una dell’altra
Sale il caldo, quello
che mira ai giovani
predatori in
uscita
Perché ci sentiamo più soli
quando insieme, dovunque
sia?
Dovremo allora cercare
la frangia
tremante dell’amore?
o sedere sotto l’ombra
di una piramide,
da qualche parte in Messico,
le nubi,
oh le nubi!
Cristina Viti è una traduttrice italiana che vive e lavora a Londra. Tra le traduzioni più recenti si contano opere di Elsa Morante (The World Saved By Kids, Seagull Books 2016) e di Mariangela Gualtieri (Beast of Joy, Chelsea Editions 2018). In preparazione le versioni inglesi del volume di saggi di Furio Jesi Il tempo della festa e del primo romanzo di Luca Rastello, Piove all’insù.
Fotografia di proprietà dell’autrice.