Intervista a Marina Agostinacchio: Bab el gherib – La porta del vento (Mimesis, 2018)
di Eleonora Rimolo
1. Partendo dal titolo del tuo precedente lavoro, parlaci del tuo nuovo progetto.
L’ultimo lavoro si intitolava Statue d’acqua. Si trattava di visioni e di visionario; corpi che si muovevano nell’acqua e corpi fluttuanti in vasche sopraelevate agivano in una verticalizzazione fluida e in una profondità dello spirito, predisponendo la mente a una progressiva presa di coscienza di chi si sia davvero. Al di là degli interrogativi sulle sagome natanti nelle vasche sopra e sotto –angeli, creature non più vive… , la convinzione che si affacciava, e si imponeva carnalmente e oltre l’immaginazione, era di un sé libero, nel pensiero e nel modo di porsi al mondo. L’acqua si offriva quale elemento naturale idoneo a significare questo trasumanare pur in una dimensione d’immanenza.
Contemporaneamente alla scrittura di Statue d’acqua nasceva la necessità di uno sguardo in orizzontale. L’occasione mi fu offerta dai laboratori di poesia nel carcere penale Due Palazzi di Padova.
Devo molto alla scuola serale di Camposampiero, in provincia di Padova, in particolare all’insegnante Daniela Lucchesi che, nella primavera del 2014, accolse subito con entusiasmo la proposta di alcune ore di un mio laboratorio di poesia, corredato da musica e immagini.
Il progetto si disponeva lungo un asse che si orientava dall’esterno, le parole dei detenuti declinate dentro ai temi proposti (Anno 2014 Viaggio attraverso la parola –Dante, inferno Pier delle Vigne e la metamorfosi; Viaggio nella scrittura (Anno 2015, Le parole dei poeti come occasione di scrittura); Migrantes (Anno 2017 , suggestioni tra prosa e poesia), per poi allargarsi attraverso uno sguardo interiore, in visioni reali e oniriche…
2. Quali sono i modelli che negli anni hanno ispirato la tua poesia?
I modelli sono senz’altro stati introiettati dai tempi delle lezioni di poesia all’interno dell’insegnamento di letteratura contemporanea impartitomi dal poeta e professore Silvio Ramat.
Direi il nostro 900 italiano, la stagione ermetica e post ermetica poetica degli anni ‘20 ‘30 e ’50, i continui rimandi alla tradizione della nostra poesia – e Dante fa d’apertura ai laboratori (anno 2014 e sezione centrale del libro); ma non solo, la lettura della poesia europea contemporanea e transoceanica che hanno alimentato la ricerca di cosa chiedessi e volessi dalla scrittura, di chi veramente fossi e sono attraverso le parole che a volte viaggiano in un circuito surrealista per comporsi in senso, adagiandosi sul foglio (scrivo ancora con la matita o la penna in diversi quaderni spesso nella mia serra libreria di fronte alla magnolia della mia infanzia)
3. Scegli due testi dal libro e spiegane il senso e la genesi
poesia pagina 53
A S.
Dormire in pace accanto alla rosa bianca
Il suono masticato un inciampare
d’arco che filtra il bianco in lontananze
rare. Nel folto della chiarità
dal fondo di un abbacinato sogno
ridestarsi in antiche case e slarghi.
E lì a pochi passi la rosa bianca.
La rosa bianca richiamo metaforico al desiderio di esistere. Sentire il suono, la voce della propria sofferenza, un suono incerto e spesso inarticolato; voce e suono che perforino il silenzio della cattività. Spesso il sogno (il folto della chiarità) offre visioni di paesaggi conosciuti. Lo spirito si ridesta in uno spazio conosciuto dove è un ritrovare la bellezza e un trasformarsi in essa attraverso il taglio e la ferita. (la rosa bianca).
L’occasione della scrittura è data dalle riflessioni sui versi di Pier delle Vigne. Il nucleo attorno a cui lavorare era la metamorfosi.
poesia pagina 65
A H. L. F.
E guardo le stelle dalla mia cella
Quello che non possiedo. Sempre quello;
Insistente, cattedrale nel sogno.
Basta orientare il volto, giusto un poco,
tra luminosità muovo I miei passi.
Come lucciole, le stelle perfette
piste, passi allungati verso un dopo.
Le stelle viste dalla finestra della cella, la solitudine…
Le stelle nel sogno, si levano luminose, come una cattedrale, guidano il desiderio, sempre quello: liberare i passi verso un nuovo orizzonte di redenzione, e forse verso quel primitivo spazio di innocenza perduta. Stelle lampeggianti a dire che è possibile trovare la strada per un nuovo progetto di vita.
4. Rispetto alle tue opere precedenti quale differenza e quale evoluzione senti di aver raggiunto con questo nuovo libro?
Non mi sentirei di parlare di cambiamento nè di evoluzione. Ogni opera è prosecuzione di un cammino per identità e opposizione. La costante della mia scrittura direi è riscontrabile nella necessità intima di imprigionare in un metro, non sempre perfetto e fluido, i versi. Questo mi dà slancio per scoprire nuove forme lessicali e semantiche. In Bab el gherib il confronto con i suoni e la lingua malferma dei detenuti mi ha guidata, per certi aspetti , a dire in modo spezzato, melodico, metaforico seguendo una linea d’onda –il mare è spesso presente nei loro lamenti.
5. Quanto la tua attività di docenza influenza la tua scrittura e in che modo, e viceversa.
Direi che l’attività di insegnante mi aiuta a portare il discorso poetico nelle scuole con naturalezza. Ascolto, lettura, scrittura, che siano praticate in forma personale o curricolare, costituiscono materiale indispensabile per la poesia. Proporre inoltre negli anni a studenti di ogni ordine e grado poeti o tematiche ad essi correlati mi dà la misura di come in ognuno ci sia quel segreto che vuole divenire luce in forme nuove e senza timore di sentirsi esposto. Ossigenati dalle parole dei poeti, i ragazzi compongono quadri di narrazione in cui la propria vita, felicità e sofferenze trovano posto seguendo la corrente della stessa dinamicità esistenziale. E così anche la risposta dei ragazzi in parole, individuali o di gruppo, spesso è un richiamo per me alla scrittura personale, all’emersione di pulsioni intime che cercano sistemazione e ordine attraverso il segno grafico nella pagina.