Agnese Mosconi
(inediti)
*
Lo scheletro della casa era lo stesso
ma in disordine, una costellazione
di oggetti sacrificati all’abbandono.
Ti ho raccolto come fa una madre
con i giocattoli, la pazienza di chi sa
che anche la leggerezza è solenne la sera.
Il marmo era freddo come l’autunno
e per finta le mattonelle erano isole
e le linee a dividerle il mare profondo,
“Attenta” mi dicevi “a non toccarle”.
Che strano dopo anni capire
che i piedi dovevano calpestare i confini
per non annegare davvero.
Alle mie ginocchia storte
Dicono non ci sia poesia
in questi spigolosi nodi,
in questa geometria sbagliata
che spezza la linea degli arti.
Non c’è eleganza in queste giunture,
solo la forza di chi ha capito
che la bellezza non vale la funzione:
così sorreggono i bambini
mentre ascoltano le favole,
accolgono la fronte
quando si è seduti e stanchi
e rendono sopportabile
ogni salita.
Mia nonna dice
siano consigliere del maltempo,
altri che ci sostengano
mentre parliamo con Dio.
Quanto a me,
in questo ruvido poligono
ritrovo mio padre,
quell’amore distratto che affatica
le ossa e le spinge all’esterno,
come una donna che vuole morire
ma non apre la finestra.
Non c’è teorema
né forme armoniose:
assomigliamo solamente
a ciò che nasce imperfetto.
A mia madre
La tazza lasciata sul tavolo
le scarpe vicino all’ingresso
la luce rimasta accesa:
conosci i segni della mia distrazione
quasi scandissero la tua giornata.
Ma anche oggi rimani in silenzio
come quei pochi che sanno
che l’amore, a volte,
si regala a testa bassa.
Fotografia dell’autrice di Elisabetta Rinaldi