BLACKHOLE
Ci sono giorni in cui il mattino
ti si infilza nella testa
con gli spigoli di un prisma
e ogni cosa assume la sembianza
di un manufatto alieno e ostile
la strada
di ogni giorno si accartoccia su sé stessa
stritolando
auto e passanti
e tutto
precipita sfondato
verso il punto senza nome, il
buco nero
l’oltre sfigurato
che nessuna vita elude
e nessuna merita
perché vivere
anche quando non è vero
significa essere innocenti
*
DOTAZIONE
Cosa ti aspetti qui
se qui dopotutto
e in fondo non ci sei
stato quasi mai
se non con una parte
già ampiamente
compromessa di te stesso
una parte consumata
senza più sembianze
che avanza bocconi per le strade
con la faccia sciolta
con i muri che ti assorbono
i denti gli occhi le interiora e tutto il resto
quel poco
o nulla che ti venne dato
in dotazione nel sorteggio
che i testi antichi affermano
essere il pericolo
sommo per le anime
al momento di decidere
in quale pioggia ridiscendere
in quale
immagine superflua e effimera
essere portate via dal diluvio
*
PANCHINA (UNA DEDICA)
«Non siamo anche noi
residui di ciò che ci ha lasciati?»
Così leggevo
quest’oggi sulla pagina zero
di un vecchio libro dedicato
quando all’improvviso
qualcosa accade
e tutto si avvicina
al punto nullo che divide
le ascisse e le ordinate
dell’esistenza
e il cielo si rompe
senza rumore
in un vento nero
e sul cemento appare
il graffito di qualcosa
che non so a cosa somigli
fintanto che non mi ritrovo in tasca
sigillati
nella stessa busta
un rosario, un coltello
e i petali del loto – un
groviglio
di simboli e allusioni che
forse
un giorno ricordavo
ma adesso non conosco più
proprio come
ricoperti da un liquame scuro
il mio viso, i miei pensieri
sempre più dissolti
nell’acqua pesante – questa forma
inquinata della mia vita
così persa e allontanata
per troppe cause
per troppo oblio
una
biglia di mercurio
frantumata dai passanti sull’asfalto
la vera
disperata conoscenza
e il terzo sanguinante occhio
*
LE RAGIONI ULTIME
Il sapore di questi giorni
nasce gelido dalla lama di un coltello
infilato di traverso nella bocca
che
se uno si muovesse anche il silenzio
spargerebbe al vento un po’ del proprio sangue…
È
quello il momento
in cui tutta la città
ti entra nel respiro
le strade
ti sventrano e la cupola del cielo
ti serra nel liscio di una capsula
pronta ad ingoiarti…
Non c’è
tregua su questo
versante del sacrificio –
la morte
rimane il mito
che niente ha potuto oltrepassare…
Non è
qui che incontreremo
il fondo di noi stessi – non è
neppure oggi, mai
che potremo interrogare
le ragioni ultime
troveremo
dio in un’altra vita
sotto un altro aspetto
sterminate
tutte queste mosche
ripuliti
il sangue i trucioli le schegge
ritornati
buio sovrastato dalle stelle
*
AVANGUARDIA (OTHERSIDE)
Fra le scorie di un mondo alla deriva
e il metodo formale
divenuto teorema
di una società trasformata nelle sue istruzioni
hai scelto la poesia
la parte
arcaica e maledetta
del pensiero e del linguaggio
il nemico pubblico
che punta il mitra sulla vita e
rovista nella morte
come nella più degna delle attrazioni
nel vasto luna park
post-moderno -industriale post-tutto
dove ogni respiro
ti insuffla un’ondata di veleni
freschi e d’avanguardia
e il tuo nome di tossico
assuefatto alle parole
trova posto nel murale
che il sangue delle nocche ricalca sui graffiti
vomitati alla periferia della città
là dove un bel giorno
tutto solo
scenderai dall’auto, straccerai i documenti
brucerai le tue cose e salirai sulla canoa
mitica che ti condurrà mutato
dall’altra parte nella parte
forse per un soffio
sopravvissuta a tutto questo
* * *
Alessandro Bellasio (Milano, 1986) ha scritto i libri di poesia Nel tempo e nell’urto (2017), Monade (2021), e il volume di saggi Disappartenenza. Letteratura e ascesi (2022). Ha vinto i premi Letteratura Città di Como, Europa in Versi e Città di Fiumicino. È incluso in antologie e riviste, tra cui Giovane poesia italiana (Fondazione Pordenonelegge, 2019, tradotta in inglese, francese, tedesco e spagnolo), Poesia e Gradiva. Si è occupato, con brevi profili critici e traduzioni, di alcuni classici dell’espressionismo (Georg Trakl, Gottfried Benn, Georg Heym).