107.

La dimenticanza

Segui il cammino di brevi

lucerne, alla volta imbrunita

di pietra; ascolta e dimentica.

Il frastuono confuso di voci

deserte ti ottunde gli orecchi,

ti annoda la gola: lascia

lontano le voci nel vento,

lascia morire le strane

parole, lungo le strade,

come la neve si asciuga

del sole: ascolta e dimentica.

Segui il filo della mia voce

sottile, fra le orme calcaree

del tuo labirinto, e senti

la pioggia del sole ferire

i tuoi occhi: è normale,

sei ora un bimbo che nasce.

Ancora ti assonna il pensiero

del lento papavero in sogno,

ma senti ora il mirto rugoso,

la menta fragrante dell’ombra

o il glauco albore della rugiada

di mare, e il soffio del chiaro

eucalyptus: ti sveglia le nari

col fresco profumo marino;

lo senti l’odore sopito

del mare, perenne allo scoglio

silente? È lì. Nella quiete inquieta

dell’onde la mia voce di miele

risuona del vero il tuo nome:

ascolta, ascolta e dimentica”.

Tacet

Talvolta qualcuno ritorna

da un’altra penombra,

ne impetri la voce,

ma non risponde:

è un remoto silenzio

che svela il mistero

che non si pronuncia.

Sarà un altro giorno,

fra i giorni, che tace.

La Cumana

Il vento furioso è una voce d’alloro,

un bruito che mesce parole alle foglie,

all’ombra di tede, che freme, un respiro

che esala la terra, e aggrava le ciglia.

Ancora tre volte il vento ha frullato

le foglie a sei dita, ma sono di polvere,

un’ombra nelle ombre, e sibila e striscia

tra i cespi sugli occhi di bianche ginestre.

La cicala frinisce nel giorno che muore,

in un soffio che effonde un amplesso di voce,

e sfiorisce, nelle parole che mai ho ascoltato

e nella carezza che mai mi ha lasciato.