La dimenticanza
“Segui il cammino di brevi
lucerne, alla volta imbrunita
di pietra; ascolta e dimentica.
Il frastuono confuso di voci
deserte ti ottunde gli orecchi,
ti annoda la gola: lascia
lontano le voci nel vento,
lascia morire le strane
parole, lungo le strade,
come la neve si asciuga
del sole: ascolta e dimentica.
Segui il filo della mia voce
sottile, fra le orme calcaree
del tuo labirinto, e senti
la pioggia del sole ferire
i tuoi occhi: è normale,
sei ora un bimbo che nasce.
Ancora ti assonna il pensiero
del lento papavero in sogno,
ma senti ora il mirto rugoso,
la menta fragrante dell’ombra
o il glauco albore della rugiada
di mare, e il soffio del chiaro
eucalyptus: ti sveglia le nari
col fresco profumo marino;
lo senti l’odore sopito
del mare, perenne allo scoglio
silente? È lì. Nella quiete inquieta
dell’onde la mia voce di miele
risuona del vero il tuo nome:
ascolta, ascolta e dimentica”.
Tacet
Talvolta qualcuno ritorna
da un’altra penombra,
ne impetri la voce,
ma non risponde:
è un remoto silenzio
che svela il mistero
che non si pronuncia.
Sarà un altro giorno,
fra i giorni, che tace.
La Cumana
Il vento furioso è una voce d’alloro,
un bruito che mesce parole alle foglie,
all’ombra di tede, che freme, un respiro
che esala la terra, e aggrava le ciglia.
Ancora tre volte il vento ha frullato
le foglie a sei dita, ma sono di polvere,
un’ombra nelle ombre, e sibila e striscia
tra i cespi sugli occhi di bianche ginestre.
La cicala frinisce nel giorno che muore,
in un soffio che effonde un amplesso di voce,
e sfiorisce, nelle parole che mai ho ascoltato
e nella carezza che mai mi ha lasciato.