Sabrina Cerino (Napoli, 1994) è dottoressa in lettere e laureata in editoria e scrittura alla Sapienza, è stata redattrice presso la Rivista Letteraria Mosse di Seppia per cui ha pubblicato racconti, articoli e poesie e ha curato la rubrica “SegnaLibrai”, spazio di interviste a librerie, case editrici indipendenti, autori e personalità del mondo editoriale. Avida e malinconica lettrice, considera la scrittura il tentativo di sancire la propria esistenza, motivo per cui intrattiene un rapporto conflittuale con la stessa e rimanda da tempo immemore la composizione della sua raccolta poetica. La sua poesia è per lo più cosparsa di fiori e intessuta di introspezione, alcuni sui componimenti sono stati pubblicati sulla Bottega di Poesia di Repubblica, sul sito della casa editrice Homo Scrivens, nel libro di Martino Lo Cascio “101 scorie zen – Foto e haiku per una poetica dell’ecologia” e su blog letterari.
* * *
La muta del fiore
Neanche sui gigli resta più il candore degli inizi
adesso che alla terra restituisci la tua forma d’aria –
verticali si arrampicano i tuoi sogni d’ombra.
Il respiro non tiene il passo,
ingombra di inciampi le sillabe affannate,
inducendo le alture a farsi più inclinate
come cime di cui provi vertigine e sete.
*
Resti di umanità vegetale
Spogliata di vita come l’arbusto morente
nella piana della stagione
ti poggi al suolo in finta contemplazione
mentre contrita conti
contraccolpi e dolori
e la paura, greve
si aggrappa agli ultimi respiri
Un fiore incenerito
di scolorito splendore.
Cade la corolla
mentre tremante e afflitta
ti abbandoni agli spettri vegetali
della tua ormai estinta carne
e ancora vacilli
Tremante il buio sfuma
in umanità indistinta.
*
Luna rossa
Si schiude alla luna il mio sangue di donna
non trova riposo né luce
resta abbacinato nelle valli della carne
come un mistero che dal ventre scende a riva
e viene accolto dalle gambe chiuse
Serrate chiese sconsacrate che d’abbandono consumano l’altare
e di preghiere non sanno che il silenzio
La parola permane liquida, rivolo scivoloso nella coltre della lingua
non si impasta con l’organo del linguaggio
ma scandaglia i recessi dell’occulto
e assidua e recalcitrante strozza il volo d’ala,
rinnega la sua natura celeste, il suo incantamento d’oltre
per un orizzonte di terra senza più voce.
La notte mi conosce, sa di me quel che nascondo
e chiedo perdono, nel buio della sua incontrastata egemonia,
alla Morgana e alla Pleiade.
© Fotografia di Maura Marino