43.

Autunno

Piove a dirotto e il vento soffia

forte, tanto che nei boschi lontani

gli alberi si piegano, curvi verso

il suolo, stanco di guardare

là in alto, le nuvole grigie che

chiudono, bloccano, serrano

il cielo nella sua prigione.

Passano lente lente le ore

un campanile lontano rintocca

dodici volte precise:

fuori non si è ancora fatto giorno

ancora le gocce battono pesanti sui

tetti fradici, fatti di tegole fredde

nel freddo dell’aria e del mondo.

Nelle case, le luci brillano come

stelle di un firmamento nuovo, artificiale

compongono costellazioni

alimentate da energia di non so dove

che corre di stanza in stanza

fino ai caloriferi bianchi, accesi, svegli

mentre tutto intorno dorme.

Splendono gli schermi colorati

arcobaleni lampeggianti qua e là:

il televisore da solo risuona nelle stanze

vuote, o forse piene?

Di persone non ne vedo, se non per qualche

ombra scura che si staglia nel giallo

di quelle luminose lampadine.

Ma il cielo plumbeo non guarda, certo,

in casa, le gocce continuano a cadere

sui tetti fanno tic e toc, tremano le piante

agitate dal vento, le nuvole scure coprono

la terra, il fango, l’asfalto della strada

e i motori delle auto che passano veloci

non si sentono, coperti dai rombi di tuono.