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Mese: Marzo 2020

Donatella Nardin “ Rosa del battito “ Fara Editore Rimini 2020 – Lettura di Fabrizio Bregoli


NARDINDonatella Nardin “ Rosa del battito “ Fara Editore Rimini 2020

Lettura di Fabrizio Bregoli

 

“Buttate pure via / ogni opera in versi o in prosa. / Nessuno è mai riuscito a dire / cos’è, nella sua essenza, una rosa.” (“Concessione”, da “Res amissa” in “L’Opera in versi”, Mondadori – 1998): così dice Giorgio Caproni in una sua poesia, affermazione che anche Donatella Nardin crediamo possa sottoscrivere, come emerge dalla lirica in chiusura a questa raccolta, che a questa raccolta dà anche il titolo, dove sono riscontrabili significative corrispondenze con il testo di Caproni: “altro non resta se non l’amore, / rosa del battito // per l’enigma che siamo”.
Poesia e mistero si interrogano nei versi della Nardin, perché è “il non detto” il centro nevralgico della poesia, soltanto questo sa offrire “da solo il suo senso profondo”. Siamo partiti - in modo non convenzionale - dalla fine, a rovescio quindi, per mettere da subito in evidenza la dichiarazione di poetica che è alla base di questo nuovo lavoro di Donatella : l’assunto della inconoscibilità dell’esistenza, in cui siamo tuttavia immersi con le nostre vite, sempre alla ricerca di un “polline di suono” (C. Rebora) che si presti a offrire uno spiraglio di comprensione, prospettiva a cui solo l’amore autentico sembra assolvere.
È poesia della perdita quella che Donatella Nardin ci offre, nella forma di un dialogo prima di tutto con sé stessa perché possa diventare tramite verso l’altro, tentare un ricongiungimento con quanto abbiamo perduto, con chi abbiamo lasciato, restituirci alla dimensione della “comunione dei vivi e dei morti” (G. Raboni) nella rispettiva compresenza.
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La cura? El confinamiento – di Hernan Rodriguez Vargas

La cura? El confinamientodi Hernan Rodriguez Vargas Di recente stanno girando sui social i dipinti di Edward Hopper che ricordano...
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Mario Benedetti (Udine, 9 novembre 1955 – 27 marzo 2020)

BENEDETTIMario Benedetti
(Udine, 9 novembre 1955 – 27 marzo 2020)

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José Carlos Cataño – poesie (Traduzione a cura di Marcela Filippi Plaza)

catano
José Carlos Cataño (La Laguna, Isole Canarie, 30 agosto 1954 - 9 agosto 2019)  poeta, narratore e saggista. Con  “El cónsul del mar del Norte” (Pre-Textos, 1990) è stato finalista del Premio Nazionale di Poesia del 1991. Poesia: Disparos en el paraíso, Edicions del Mall, Barcelona, 1982, Muerte sin ahí, Edicions del Mall, Barcelona, 1986, El cónsul del mar del Norte, Editorial Pre-Textos, Valencia, 1990, A las islas vacías, Ave del Paraíso Ediciones, Madrid, 1997, En tregua, Plaza & Janés, Barcelona, 2001, El amor lejano. Poesía reunida, 1975-2005, Reverso Ediciones, Barcelona, 2006, Lugares que fueron tu rostro, Editorial Bruguera, Barcelona, 2008, Obra poética (1975-2007), Editorial Pre-Textos, Valencia, 2019.
Narrativa: Madame, Ediciones Península, Barcelona, 1989, De tu boca a los cielos, Edicions del Mall, Barcelona, 1985, 2. ª edición: Anroart Ediciones, Las Palmas de Gran Canaria, 2007.
Diari: Los que cruzan el mar. Diarios, 1974-2004, Editorial Pre-Textos, Valencia, 2004, De rastros y encantes, Asociación de Amigos del Libro Antiguo de Sevilla, Secretariado de Publicaciones de la Universidad de Sevilla, Sevilla, 2012, La próxima vez (2004-2007), Biblioteca de la Memoria, Editorial Renacimiento, Sevilla, 2014, La vida figurada (2008-2009), Biblioteca de la Memoria, Editorial Renacimiento, Sevilla, 2017.
Saggi: Antología poética de Saulo Torón, Biblioteca Básica Canarias, Islas Canarias, 1990, Casi tal cual. La fotografía de Humberto Rivas, Lunwerg Editores, Barcelona, 1991, Escritos, colección Pasos Sobre el Mar, Las Palmas de Gran Canaria, 1994, Aurora y exilio. Escritos, 1980-2006, La Caja Literaria, Santa Cruz de Tenerife, 2007, Cien de Canarias. Una lectura de la poesía insular entre 1950 y 2000, Ediciones Idea, Santa Cruz de Tenerife, 2009, Agunas mínimas de José Carlos Cataño frente al volcán de la isla de Corvo, Los Papeles del Sito, Sevilla, 2017.
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Andrea Abreu López – poesie (Traduzione di Davide Toffoli)

LOPEZAndrea Abreu López (Santa Cruz de Tenerife, 1995). Vive a Madrid, dove frequenta un Master in Giornalismo Culturale e Nuove Tendenze nella URJC. E’ giornalista e scrittrice. Come giornalista, scrive per Poscultura ed è coordinatrice della sezione Croci (X): femminismi e identità. Ha scritto e scrive per vari media. Ha pubblicato il fanzine Primavera que sangra (2017) e il libro Mujer sin párpados (Versátiles Editorial, 2017).



DAVIDE TOFFOLI (Roma, 1973) si è laureato nel 1998 all’Università “La Sapienza” di Roma con Biancamaria Frabotta con una tesi dal titolo: “Il caso Turoldo: liturgia di un uomo”. Dal 2000 insegna Lettere negli istituti di Istruzione Secondaria di I e II grado, attualmente presso l’I.I.S. “Einstein-Bachelet” di Roma, dove è ideatore e responsabile del progetto “La scuola a casa di Riky” e del laboratorio “Percorsi di lettura e scrittura attiva” sulla poesia italiana della seconda metà del Novecento. Collabora con la rivista semestrale “Quaderni Ibero Americani”, con la rivista mensile “’O Magazine” e con il “Roma Art Meeting” (curando video-interviste e la rubrica di approfondimento letterario “Parole, Parole, Parole”). In poesia ha pubblicato: “Invisibili come sassi” (2014), “Ogni foto che resta. Camminatori e camminamenti” (2015) e “L’infinito ronzio” (Controluna, Roma 2018). Il suo racconto (“Bomba, Sgrullare’! Panza a tera!”) è inserito nel volume “Interviste impossibili agli eroi della Repubblica Romana”, curato dalla scuola di scrittura creativa Omero. E’ tra gli autori dei polifonici “Il libro degli allievi. Per Biancamaria Frabotta” (Bulzoni, Roma 2016) e “Passaggio a mezzogiorno” (Collana Isola, Ed.Ulbar 2018) e sostenitore, sempre più convinto, di ogni forma di lettura, di interazione artistica e di “creattività” resistente.

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Alessandro Moscè, La vestaglia del padre (Aragno 2019) – Lettura di Davide Tartaglia

VESTAGLIAAlessandro Moscè "La vestaglia del padre"(Aragno 2019)


Lettura a cura di Davide Tartaglia 




C’è una bellezza senza tempo dentro il tempo. Una bellezza che ci ha raggiunto, che ci ha sfiorato anche solo per un attimo e che ci ha ferito irrimediabilmente. Prima di andarsene. E cosa ne rimane? L’imprendibile gioia che abita il ricordo è destinata a rimanere in un mondo lontano oppure l’istante, la vita presente in qualche modo ne partecipa?
Sono queste le domande aperte dalla lettura de La vestaglia del padre, ultimo libro di Alessandro Moscè, dato alle stampe da Aragno editore; un libro evidentemente segnato dalla morte del padre del poeta fabrianese, e che trova in questa occasione il punto di abbrivo, il magma incandescente che giustifica la scrittura ma senza esaurirsi nei confini della vicenda privata. Ciò che a tema sono le domande ultime sulla morte (e quindi sulla vita), sul senso di ciò che ci lascia e quindi di ciò che rimane. Moscè conduce questo escavo attraverso una scrittura piana, senza scossoni, muovendosi in un territorio pienamente anti-novecentesco, mantenendo il ritmo ondulato e pacificato delle colline marchigiane, sul confine con la prosa. Ciò che colpisce è la capacità con cui una scrittura così apparentemente orizzontale, attaccata alle cose e alla ferialità, non rimanga mai a mezz’aria ma scatti improvvisamente verso l’alto o verso l’abisso. Una scrittura che appena sotto la superficie di questo moto ondoso cova un’energia tellurica che squarcia.
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Nella giornata mondiale della poesia “Il libro tibetano dei morti” è un libro necessario – Commento di Clery Celeste


LIBROTIBETANOMORTINella giornata mondiale della poesia Il libro tibetano dei morti è un libro necessario. 

Commento a cura di Clery Celeste


Oggi sarebbe l’equinozio di primavera e la giornata mondiale della poesia. Fatico a festeggiare entrambe le cose. In questo momento così faticoso resta da chiedersi quale parola può resistere. La poesia è in grado di resistere? Sono in grado i poeti di schierarsi contro la tragedia e il dolore, per farci approdare a una comune bellezza oppure sono tutti impegnati, anche in questi giorni, a scrivere e mettere la firma, a sventolare un proprio marchio?

Mi sono chiesta quali parole potessero essere davvero necessarie ora. Sono andata a riaprire Il libro tibetano dei morti (a cura di Giuseppe Tucci, pubblica SE). Un libro antichissimo, difficile da leggere senza alcuna preparazione. Ecco perché c’è una lunga introduzione che mette il lettore in una visione della morte completamente ribaltata da quella occidentale. Siamo abituati a pensare alla morte come a un salto, un passaggio nel buio da cui non si può tornare. Bisogna salvarsi in vita, in vita chiedere perdono. Dopo c’è poco da fare, ci aspetta il buio, o se siamo stati dei santi, la luce. Il libro tibetano dei morti non è un libro di poesie, è un libro di istruzioni, un trattato sulla liberazione. Andrebbe letto almeno una volta nella vita affinché quelle parole, al momento del bisogno, possano tornarci alla memoria e salvarci. Queste parole sono necessarie, sono quelle che devono resistere perché chi sta morendo in queste ore nelle stanze di terapia intensiva è solo, semplicemente chi muore in questi giorni non ha tempo per niente, muore solo. La coscienza del morto viene lasciata senza parole, senza un tocco. Ci sta venendo tolto uno dei primi simboli di civiltà che è la sepoltura, la giusta cura dei morti, l’ultimo invisibile dialogo tra morti e vivi.

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