106.

Gli Interrogativi

Entriamo e usciamo! Non importa!

In modo calmo sentiamo i nostri dolori

e appoggiamo il latte bianco alle labbra.

Il tempo

in cui stiamo chiusi

nella nostra stanza, per bere

è limitato. Un rumore di chiave

perché la porta sia aperta

e noi andiamo via.

Lasciandoli

e lasciandole in maniera calma, noi

sentiamo dolore.

Esse, continueranno, ogni giorno,

a bere il latte bianco alle labbra:

stringendosi una ad una e sentendo

nel corpo il rimorso instancabile

si distaccheranno. E quando lei

sussurra

che la chiave non c’è, comincia

la ricerca affannosa.

Entriamo e usciamo. Non importa.

Qui possediamo la nostra libertà

di girare in una stanza, forse quattro metri

per quattro, forse pareti rosse, un tavolo.

Entriamo e usciamo! Non importa!

Dialogo con GENERAZIONE*

per Stefano, mio figlio

I viventi amano la luce che illumina

il vuoto dello spazio, sporgendosi nelle onde

senza promesse di un’alba appena nata

Nel tuo blu scuro, i dispersi si

guardano senza essere osservati, e

noi fuori dal quadro non li vediamo,

ognuno ritrova una parte di sé

nell’altro che ci vede, e

nessun potrà perdersi.

Attraverso le loro parole staccate

le une dalle altre, il respiro pesante

i loro nomi da tutti quasi dimenticati,

non hanno più possibilità di farsi riconoscere,

questo limbo li lancia nell’universo

senza incontri determinanti: il

buio blu scuro del mondo a sfera li

stringe nella morsa del freddo e

nella difficoltà della respirazione, è

un augurio essere ricacciati

in un’epoca altra del passato

del futuro, là dove scoprire

che questa differenza non c’è, facendo dono

del pensiero di essere sopravvissuti della

propria generazione, soggetti in via d’esaurimento

Loro insistono nel vivere, perché raccontassero la loro

vita, ognuno al proprio quasi-doppio

interlocutore e il buio blu li accoglie

e li fascia per quel tempo che basta al racconto.

Niente di più!

*“Generazione” è un dipinto di Stefano

Dora

Dora, consola il viaggio di ragionevole ansia

Consolami ricordandomi i versi di poeti che ami

se altre scorte sono state disperse

Consolami ché a farlo

non sia un dolore appena sorto

una traccia umana mutante

un’ipocrita mimesi clownesca

perché altrimenti il paesaggio

dei delitti non potrà essere rimosso.

Dora ho bisogno del tuo tempo

delle tue gambe per attraversarlo

ho bisogno delle tue labbra

delle tue parole per conoscere i sentimenti

ho bisogno della tua fede come della tua flebile ragione

ho bisogno dei tuoi giorni come della tua benevolenza

per attraversare le macerie cercando di indagarle.

Sono quasi invisibili, inattaccabili, le distruzioni sono ad ogni passo:

non si distinguono più le parole, non si distinguono più i volti di

quanti sarebbero rapiti da qualche divinità per la fede nei sentieri

dei cavalieri antichi, vittime

delle guerre civili, stanno

in una lunga serie di foto ingiallite

io e te impigliati in una coscienza infelice

in queste orme lasciate da chi – con l’inganno

cerchi di intrattenerci affettuosamente,

ho bisogno del tuo tempo, per

vedere il mio mondo, e il tuo

disegnato con grazia sul tuo

volto in balia di uno faglia.