Gli Interrogativi
Entriamo e usciamo! Non importa!
In modo calmo sentiamo i nostri dolori
e appoggiamo il latte bianco alle labbra.
Il tempo
in cui stiamo chiusi
nella nostra stanza, per bere
è limitato. Un rumore di chiave
perché la porta sia aperta
e noi andiamo via.
Lasciandoli
e lasciandole in maniera calma, noi
sentiamo dolore.
Esse, continueranno, ogni giorno,
a bere il latte bianco alle labbra:
stringendosi una ad una e sentendo
nel corpo il rimorso instancabile
si distaccheranno. E quando lei
sussurra
che la chiave non c’è, comincia
la ricerca affannosa.
Entriamo e usciamo. Non importa.
Qui possediamo la nostra libertà
di girare in una stanza, forse quattro metri
per quattro, forse pareti rosse, un tavolo.
Entriamo e usciamo! Non importa!
Dialogo con GENERAZIONE*
per Stefano, mio figlio
I viventi amano la luce che illumina
il vuoto dello spazio, sporgendosi nelle onde
senza promesse di un’alba appena nata
Nel tuo blu scuro, i dispersi si
guardano senza essere osservati, e
noi fuori dal quadro non li vediamo,
ognuno ritrova una parte di sé
nell’altro che ci vede, e
nessun potrà perdersi.
Attraverso le loro parole staccate
le une dalle altre, il respiro pesante
i loro nomi da tutti quasi dimenticati,
non hanno più possibilità di farsi riconoscere,
questo limbo li lancia nell’universo
senza incontri determinanti: il
buio blu scuro del mondo a sfera li
stringe nella morsa del freddo e
nella difficoltà della respirazione, è
un augurio essere ricacciati
in un’epoca altra del passato
del futuro, là dove scoprire
che questa differenza non c’è, facendo dono
del pensiero di essere sopravvissuti della
propria generazione, soggetti in via d’esaurimento
Loro insistono nel vivere, perché raccontassero la loro
vita, ognuno al proprio quasi-doppio
interlocutore e il buio blu li accoglie
e li fascia per quel tempo che basta al racconto.
Niente di più!
*“Generazione” è un dipinto di Stefano
Dora
Dora, consola il viaggio di ragionevole ansia
Consolami ricordandomi i versi di poeti che ami
se altre scorte sono state disperse
Consolami ché a farlo
non sia un dolore appena sorto
una traccia umana mutante
un’ipocrita mimesi clownesca
perché altrimenti il paesaggio
dei delitti non potrà essere rimosso.
Dora ho bisogno del tuo tempo
delle tue gambe per attraversarlo
ho bisogno delle tue labbra
delle tue parole per conoscere i sentimenti
ho bisogno della tua fede come della tua flebile ragione
ho bisogno dei tuoi giorni come della tua benevolenza
per attraversare le macerie cercando di indagarle.
Sono quasi invisibili, inattaccabili, le distruzioni sono ad ogni passo:
non si distinguono più le parole, non si distinguono più i volti di
quanti sarebbero rapiti da qualche divinità per la fede nei sentieri
dei cavalieri antichi, vittime
delle guerre civili, stanno
in una lunga serie di foto ingiallite
io e te impigliati in una coscienza infelice
in queste orme lasciate da chi – con l’inganno
cerchi di intrattenerci affettuosamente,
ho bisogno del tuo tempo, per
vedere il mio mondo, e il tuo
disegnato con grazia sul tuo
volto in balia di uno faglia.